Innanzitutto un uomo per bene. Poi un musicista, un autore, uno dei Pooh, una popstar. Stefano D'Orazio, che se ne è andato venerdì sera nella struttura Columbus del Policlinico Gemelli di Roma, è stato salutato così da tutti, senza eccezioni, con un coro quasi inedito in questi casi. Aveva 72 anni, un romano vero anche se non viveva più lì, un personaggio «si teneva sempre abbastanza lontano dalla retorica», come ha detto Bobo Craxi ai Lunatici di Rai Radio2. È stato lo stesso Bobo Craxi a dare la notizia su Twitter venerdì prima di mezzanotte. La notizia che nessuno si aspettava: addio Stefano D'Orazio, il batterista dei Pooh, forse il «Ringo Starr italiano» come ha scritto con un po' di enfasi Red Ronnie ma sicuramente un professionista di talento, uno dei pochi che riuscisse a mescolare l'indubbia forza creativa con la precisione, la puntualità, il rispetto. Dopotutto, per esperienza personale, è difficile trovare artisti così decisivi e così umili, capaci di vendere 50 milioni di copie e di arrivare sempre puntuali nei luoghi dei concerti per verificare che tutto fosse a posto a posto, le regole rispettate, la sicurezza garantita. Stefano D'Orazio era il metronomo della macchina Pooh, quello con il polso manageriale capace di gestire una band con un seguito così radicato e appassionato. Non a caso il gruppo ha subito postato insieme le stesse parole: «Abbiamo perso un fratello, un compagno di vita» e mai commiato fu più vero. Era ufficialmente entrato nei Pooh nel 1971 in una data poco beneaugurante, l'8 settembre, dopo aver fatto tutta la gavetta che soltanto un vero artista riesce a superare. Aveva suonato nei The Kings, poi The Sunshines, squattrinati al punto che suonavano soltanto brani strumentali perché non avevano i soldi per un impianto voci. Poi aveva lavorato per uno spettacolo di Carmelo Bene, Osram, ed era finalmente riuscito a entrare nel giro della casa discografica Rca, dove faceva da turnista per altri artisti riuscendo finalmente a pagarsi una vera batteria, la Ludwig. Nel frattempo, come chiunque abbia volontà e umiltà, aveva pure fatto la comparsa a Cinecittà, recitando addirittura sullo stesso set di Totò in Capriccio all'italiana, e poi in film come Django spara per primo oppure Per 100mila dollari ti ammazzo. Nei Pooh prese il posto del grandissimo e trascurato Valerio Negrini diventando sempre più importante, decisivo, irrinunciabile. Scrive testi sempre più spesso (ah, la scrittura, la sua passione), conquista un ruolo sempre più centrale nelle parti vocali, cesella molte canzoni da vero musicista come ad esempio in Pierre, dove la sua parte di flauto traverso dà ancora più profondità a un capolavoro che nel 1976 è stato incontestabilmente il pioniere dell'impegno sociale del pop italiano in tema di sessualità. Ma, che volete, i Pooh sono stati per almeno due decenni sottovalutati dalla critica, pur essendo signori musicisti e avendo un senso della melodia nettamente superiore alla media. Però non erano politicamente schierati e questo, negli anni 70 e 80, equivaleva a una sentenza di condanna. Ma, mentre i critici li spernacchiavano, i Pooh entravano nel cuore degli italiani con brani che oggi sono incontestabili manifesti generazionali (Pensiero, Piccola Katy, Chi fermerà la musica, Uomini soli). E Stefano D'Orazio ha dato il tempo a Roby, Red e Dodi in ogni spettacolo delle loro lunghissime e spettacolari tournèe fino al 2009 quando lasciò il gruppo. Gli altri non erano d'accordo ma, come nelle migliori famiglie, accettarono la decisione, riaccogliendolo poi per il tour conclusivo di una carriera stellare.
Nel frattempo lui, Stefano D'Orazio, ha seguito la sua passione per il musical (Aladin, Pinocchio, Cercasi Cenerentola, W Zorro), ha scritto una autobiografia (Confesso che ho stonato per Feltrinelli) e un libro di successo, Non mi sposerò mai - Come organizzare il matrimonio perfetto senza avere alcuna voglia di sposarsi (Baldini Castoldi 2018) che celebrava, nel suo modo garbato e sornione, il matrimonio con la donna più importante della sua vita, la meravigliosa Tiziana Giardoni, sposata a maggio 2019, che ieri ha detto «ho perso una parte di me stessa» prima di precisare che suo marito era già malato ma che «il Covid ha compromesso irrimediabilmente il suo stato di salute». Un destino beffardo e schifoso per chi, come ultimo brano della sua carriera, ha scritto con Roby Facchinetti il brano Rinascerò rinascerai, autentico inno di resurrezione dopo lo scempio della pandemia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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