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Ma adesso trema il partito manettaro

Nel grande salone di Palazzo Madama, Massimiliano Romeo, capo dei senatori leghisti, racconta l'aria nuova che si respira in un settore estremamente sensibile, come la giustizia, dopo l'arrivo del governo Draghi.

Ma adesso trema il partito manettaro

Nel grande salone di Palazzo Madama, Massimiliano Romeo, capo dei senatori leghisti, racconta l'aria nuova che si respira in un settore estremamente sensibile, come la giustizia, dopo l'arrivo del governo Draghi. «Negli ultimi mesi confida - c'era stato un vero accanimento di una certa magistratura nei nostri confronti e non solo. Anche verso tutti quelli che sparavano su Conte. Ora vedo che piano piano qualcosa sta cambiando. Anche l'atmosfera nei vari processi di Salvini sulle navi che trasportavano immigrati, è diversa. Ha contribuito anche l'appello alla pacificazione di Mattarella in un momento così difficile. Poi è evidente che quando la politica si unisce, riacquista centralità: gli altri poteri si sono sempre approfittati delle sue divisioni». Un aspetto che è rimasto nell'ombra, forse sottovalutato, nel nuovo scenario politico determinato dall'avvento del Dragone, è proprio il tramonto dell'influenza del partito «nascosto», i veri pretoriani del Conte bis, cioè le due anime della magistratura «interventista» - gli eredi delle toghe rosse e i magistrati di rito «davighiano» che con Bonafede ministro della giustizia, facevano il bello e il cattivo tempo. Ebbene di ciò che era e che ora non è più, è rimasta solo la sottosegretaria Anna Macina, una grillina ortodossa, che nelle intenzioni dovrebbe bilanciare l'approdo al ministero di Paolo Francesco Sisto, forzista della prima ora, avvocato e garantista da sempre, il boccone più amaro che i 5stelle hanno dovuto ingoiare nelle scelte di governo. Senza contare, perché è quasi pleonastico, la differenza abissale che passa tra Bonafede, dj Fofo, e la nuova Guardasigilli, Marta Cartabia, ex presidente della Corte Costituzionale. «Un altro mondo», si limita a dire Sisto.

E i lamenti nostalgici verso il governo Conte che appaiono ogni giorno sull'house organ del giustizialismo nostrano, il Fatto, stanno lì a dimostrare quanto il «vecchio mondo», appunto, abbia accusato la comparsa del nuovo: Travaglio, Scansi e i tanti vattelappesca, hanno assunto le sembianze di prefiche inconsolabili. Un giustizialismo, va detto, che con Conte era diventato a senso unico: ieri la notizia dei primi arresti sull'«affaire» mascherine dalla Cina, il caso che tira in ballo anche il commissario per l'emergenza Arcuri, nominato dal governo precedente, non era neppure in prima pagina su il Fatto, mentre se Silvio Berlusconi avesse preso una contravvenzione per divieto di sosta gli avrebbero dedicato il fondo. Il giustizialismo italiano è fatto così: in questi anni ha avuto l'arroganza di scrivere la cronaca e la Storia a suo piacimento. Sotto i governi Conte sono riusciti ad abolire la prescrizione, a fare in modo che nel nostro Paese i processi durino in eterno. Ora non è più così: il caso Palamara ha dato la prima botta, facendo venire a galla le magagne del sistema; il governo Draghi ratifica, invece, la nuova fase. Tant'è che le aree moderate o i bersagli di sempre del giustizialismo nostrano hanno cominciato a tirare un sospiro di sollievo. «La situazione è passata da così a così spiega il forzista Nazario Pagano, girando il palmo della mano rivolto verso il basso verso l'alto -: ma vi rendete conto? Sisto alla giustizia. Siamo entrati in un'altra stagione». «Il governo Draghi prevede il piddino Enrico Borghi avvicinerà i riformisti e divaricherà gli estremismi di qualunque segno. A cominciare dai giustizialisti». E il segnale dell'emarginazione dello pseudo-giacobinismo che ha imperversato negli ultimi anni nel Belpaese, è avvertito anche da chi è rimasto all'opposizione: «È l'unica consolazione», ammette Ignazio La Russa. Di contro c'è il disorientamento grillino. L'ex capogruppo 5stelle al Senato, Gianluca Perilli, che appena una settimana fa aveva avuto un duro scontro in Tv con Sisto proprio su questi temi, scuote la testa sconsolato: «La politica è imprevedibile». Mentre Elio Lannutti, grillino all'opposizione, si lascia andare ad una profezia: «Dentro questa maggioranza c'è il diavolo e l'acquasanta. Ad agosto, con il semestre bianco, ci sarà il liberi tutti».

Più che una previsione, si tratta di una speranza. Solo che al di là degli effetti che produrrà, la reazione al giustizialismo è stato uno dei fattori che hanno messo in moto il processo politico che ha portato al governo Draghi. Uno dei collanti che hanno messo insieme personaggi sulla carta distanti. Ad esempio, tra i due Matteo (Renzi e Salvini) che, giocando su sponde opposte hanno creato i presupposti dell'operazione: entrambi bersagli della magistratura militante. All'inizio dell'autunno scorso, i due ebbero un colloquio sull'argomento. Renzi propose: «Se ci stai a fare una riforma della giustizia sono pronto anche a far cadere Conte». L'altro rispose: «La riforma della giustizia, la farò quando andrò al governo». Poi, gli eventi hanno creato le condizioni per cui i due nel giro di cinque mesi si ritrovassero insieme nella stessa maggioranza. E in un governo all'ombra del quale «i trasversalismi» sono una regola, per cui si possono fare tante cose insieme. Non per nulla il segnale che Renzi ha lanciato all'interlocutore all'indomani della nascita del governo Conte, è stato: «Se Salvini è intelligente ci divertiremo un mondo».

E proprio la giustizia può essere il terreno di un incontro. C'è anche, però, chi non si aspetta grandi cose. «Ora spiega Enrico Costa, ora con Calenda ci sarebbe la possibilità di fare molto. Ma vedo il fronte garantista appagato». In effetti, c'è chi è convinto che il cambio della fase politica determini automaticamente un mutamento nell'indirizzo di un Potere come la magistratura, sensibile in generale a ciò che avviene nel Palazzo. Solo che la storia degli ultimi venti anni insegna che bisogna attendersi, nel contempo, una reazione proprio delle magistrature interventiste, Palamara docet, nei confronti di scenari politici che non trovino il loro consenso: o per farli saltare, o per condizionarli. Cosa c'è di meglio di un'inchiesta su questo o quel partito di maggioranza, su questo o quel leader, su questo o quel ministro, che magari si concluderà a babbo morto, infatti, per far saltare il precario equilibrio raggiunto dai grillini nel governo Draghi? «Bisogna mettere nel conto una reazione», confida il senatore Giuseppe Cucca, renziano: «Il nostro è un Paese in cui basta pensare alle rivelazioni di Palamara c'è chi ha tentato di mettere in atto un progetto preciso per occupare la Procura di Roma e il tribunale di Perugia. Se lo avesse portato a compimento avrebbe avuto la magistratura in mano». Eppure basterebbero poche regole che salvaguardino l'autonomia della magistratura dal Potere politico, ma anche l'autonomia della politica dal Potere giudiziario. Poche regole che salvaguarderebbero tutti, perché, per citare Calamandrei : «Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra». E da noi la politica per la cultura che si è imposta in questi anni - viene sempre dopo il potere giudiziario. Anche in pandemia, visto che per gli operatori giudiziari la vaccinazione è già cominciata, mentre per il Parlamento, che deve approvare le misure per l'emergenza, no.

Un paradosso? No, sono le gerarchie del Belpaese.

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