Coronavirus

Allarme rivolte sociali: «Disordini mai visti»

"C'è il rischio di una crescente esasperazione sociale basata sull'insoddisfazione delle popolazioni che potrebbe portare a varie forme di rivolta su una scala senza precedenti".

Allarme rivolte sociali: «Disordini mai visti»

«C'è il rischio di una crescente esasperazione sociale basata sull'insoddisfazione delle popolazioni che potrebbe portare a varie forme di rivolta su una scala senza precedenti». La previsione choc è contenuta nell'ultimo rapporto di Kelony, la prima agenzia di risk-rating a livello mondiale. Il dossier, destinato) ai suoi clienti e che il Giornale è riuscito a consultare in esclusiva, delinea due scenari altamente probabili. «Da un lato un'accelerazione del numero di procedimenti giudiziari, rappresentativi dello stato di diritto e della democrazia». Dall'altro un nuovo «stato di emergenza» che per fronteggiare l'emergenza ordine pubblico potrebbe nuovamente «rafforzare misure di eccezione contrarie alle libertà individuali».

Insomma, una spirale perversa che rischia di far saltare l'equilibrio del Paese. Un equilibrio fragile perché le disuguaglianze sociali precedenti all'emergenza Covid-19 sono state amplificate, sia dal punto di vista del lockdown, con categorie di persone che hanno perso il loro lavoro o «costrette a lavorare in condizioni di protezione approssimative, se non addirittura inesistenti» e altre, professionali, «più privilegiate perché hanno beneficiato del telelavoro», come per esempio gli statali o chi percepisce redditi assistenziali, rimasti immutati nonostante la pandemia.

E sull'economia? Si va in pratica de facto verso una nuova Iri, leggasi Cassa depositi e prestiti, laddove «il rafforzamento della presenza degli Stati nell'economia, corollario del crescente bisogno di servizi pubblici per soddisfare le esigenze di solidarietà e di protezione dei più vulnerabili, sarà ampiamente sostenuto dalle imprese, nella speranza che i governi le aiutino a compensare le perdite e i deficit subiti».

Lo scenario migliore è che questa tendenza sia «temporanea, per tornare ad un'economia più libera», magari con le delocalizzazioni di filiere produttive vitali o strategiche in alcuni settori, come ad esempio quello farmaceutico (ne è un esempio il caso delle mascherine, per lo più prodotte in Cina...), anche per agevolare «la redistribuzione sociale dei profitti». Già, perché il vero problema sarà «una pressione fiscale che aumenterà fortemente (non è un caso che da settimane si parli di patrimoniale, ndr) - a causa degli effetti della crisi», e che inizierà con «strategie difensive indirette» di «distanziamento e astensionismo al consumo». Come dire, non vado più al bar o al ristorante perché ho paura del contagio. E questo potrebbe portare a un ulteriore aumento della disoccupazione, al sovraindebitamento del sistema bancario.

Ecco dove ci ha portato il falso dilemma «salvare vite umane o salvare l'economia?». Ci hanno fatto credere di anteporre la vita al profitto, ma in realtà si è visto che mitigare gli effetti dell'epidemia è una necessità se si vuole che l'economia si riprenda. «Proteggere clienti e dipendenti non è una liberalità ma una necessità per l'economia e il profitto stesso», dicono gli analisti Kelony.

In Italia è altamente probabile che «il risultato di questi due movimenti antagonisti», vale a dire «vincoli più stringenti per mantenere l'ordine pubblico» e «il desiderio di un disimpegno neoliberale dello Stato» porti a una situazione sempre più esplosiva. «Bisognerà ripensare anche l'ordine pubblico visti gli aspetti socialmente inediti dell'autocontenimento, anche rispetto ai doveri e ai diritti civili - dice al Giornale Genséric Cantournet, chairman di Kelony - come quelli dell'andare a votare o del consumare meno possibile, che è anche una forma legale di evasione delle tasse».

Un cocktail micidiale, un potenziale di esplosioni sociali crescente che si intreccia con una gestione della crisi che rischia di diventare una sorta di «dittatura sanitaria». Perché, osservano gli esperti di Kelony, imporre «forme di sterilizzazione su scala planetaria» per distruggere il virus significherà - e di recente lo ha ammesso anche l'Oms - impattare anche sulla carica batterica, «rendendola di fatto più forte e vanificando l'azione delle armi a disposizione dell'uomo contro i batteri», relegando in secondo piano il rischio climatico o ecologico.

Uno scenario che potremmo definire un R con zero.

Dove zero è il numero di esseri umani che sopravviverebbe.

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