C'è un a,b,c della politica che probabilmente si è perso negli ultimi anni. Si può parlare di regole, culture, chiamatele come volete, venute meno, che hanno lasciato il campo ad un analfabetismo dilagante. A sinistra come a destra. L'esempio più lampante sono i grillini, ma non solo. La fine dei 5stelle diventerà un fenomeno di studio per i posteri, come l'epilogo dell'«uomo qualunque». Il Movimento si è trasformato in una supernova, è esploso e il detonatore è stato quel Giuseppe Conte che è approdato alla guida dei 5stelle quasi per caso. Ormai è una guerra di tutti contro tutti. L'ex premier contro Giggino Di Maio, ma pure Beppe Grillo che la pensa diversamente da Casaleggio, mentre il Dibba imperversa sull'uscio. Il punto è che i grillini si sono liquefatti per autocombustione. Per un'assenza di guida, di professionalità sono affogati nel giro di qualche anno nelle loro stesse contraddizioni. L'ultima è clamorosa: come fa un ex premier che ha trascorso tre anni a Palazzo Chigi, a prendere le distanze in politica estera da un governo che ha come inquilino della Farnesina il principale esponente politico del suo partito?
È chiaro che quella polemica avrebbe contrapposto Giuseppi a Giggino. Ma l'assurdo è che lo scontro, che probabilmente sarà la premessa di una scissione, era scontato, era nelle cose ma Conte non solo non ha fatto nulla per evitarlo ma ha acceso la miccia. Ha trascurato un'ovvietà e cioè che la scelta di mettere in discussione la linea di politica estera - perché porre il problema della fornitura delle armi a Kiev significa questo - si sarebbe trasformata in una sfiducia al titolare della Farnesina prima che a Draghi.
Di Maio, punto sul vivo, messo sul banco degli imputati da chi sulla carta è il leader del suo partito, non poteva non rispondere. Al netto degli altri contrasti che scuotono il Movimento, a cominciare dal tetto dei due mandati parlamentari.
Appunto, Conte per l'ennesima volta ha dato prova di analfabetismo politico, perché ha messo a dura prova pure il suo rapporto privilegiato con Enrico Letta che ora probabilmente, volente o nolente, sarà costretto a scegliere Di Maio come interlocutore.
Una débâcle.
Un altro esempio di analfabetismo politico rischia di andare in scena a Verona sul versante del centrodestra. Il sindaco uscente e candidato di Fdi e della Lega, Federico Sboarina, arrivato al ballottaggio contro il candidato di sinistra, ha avuto la bella idea di rifiutare per ora l'apparentamento al secondo turno con Flavio Tosi, neo-esponente di Forza Italia. Probabilmente il nostro personaggio ignora che per vincere l'apparentamento è quasi un obbligo dal punto di vista strategico. Invece, Sboarina o per risentimenti personali, o per egoismo politico, ancora dice no ad un'alleanza alla luce del sole. Preferirebbe un inciucio sotto traccia con Tosi. Un modo per umiliarlo. L'atteggiamento, però, rischia di condannarlo alla sconfitta e dimostra il masochismo di un centrodestra che riesce a perdere anche partite già vinte. Giorgia Meloni, leader di Sboarina, parla di ritorno al bipolarismo, ma a quanto pare il suo candidato ne ignora completamente le logiche.
Ma, soprattutto, se in vista delle elezioni politiche esiste un disegno, perseguito da qualcuno nel centrodestra, che punta a non allargare l'alleanza per paura di spostarne il baricentro, be', va detto subito, che sarebbe la solita sciocchezza dalle conseguenze letali.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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