Ancora Draghi a Palazzo Chigi. Un politico sul Colle

A volte per assecondare lo spirito del tempo si rischia di approdare nella dimensione agiografica

Ancora Draghi  a Palazzo Chigi. Un politico sul Colle

A volte per assecondare lo spirito del tempo si rischia di approdare nella dimensione agiografica. Mario Draghi nel G20 che si è appena concluso ha giocato bene le sue carte, soprattutto, per alimentare la sua immagine di leader mondiale, ma se si vanno a vedere i risultati sul clima francamente certi titoli roboanti per un'ipotesi d'intesa che dovrebbe maturare tra trent'anni (40 a sentire il Cremlino, 50 secondo New Delhi) non possono non apparire esagerati. Trent'anni sono un'eternità. Sai quante leadership si consumeranno nel frattempo. Tre decadi fa, ad esempio, in Italia c'erano Craxi, Andreotti e Forlani, il Pci per la vergogna del fallimento del comunismo si dava un altro nome, Berlusconi non era ancora in politica e, per dirla tutta, c'era un'altra Repubblica, la Prima.

Più che dei risultati, quindi, di questo weekend a Roma si ricorderà un Draghi al centro del mondo a due mesi e mezzo dalla scelta del nuovo capo dello Stato. E la propensione del premier ad andare a ricoprire quel ruolo dà lo spunto per una riflessione. Pacata. Diciamo subito che il sottoscritto non ha nessun pregiudizio sull'avvento dell'ex numero uno della Bce sul Colle. Anzi. Il 25 ottobre del 2019 (meno male che esistono le collezioni dei giornali), quando ancora qualche testata di impostazione liberale aveva il coraggio di tessere le lodi - oscure - di Giuseppe Conte, teorizzavo un governo Draghi. Ed ancora il 16 febbraio di quest'anno mentre Travaglio scommetteva che all'attuale premier Palazzo Chigi non interessava, scrivevo: «Nella testa di Draghi ci sono un governo di salvezza nazionale... ma la conclusione naturale di questo percorso sarà l'approdo al Colle tra un anno».

Insomma, per Draghi Palazzo Chigi è sempre stato propedeutico al Quirinale. Ora c'è da chiedersi, però, se nell'interesse del Paese questo sia il momento. L'attuale premier, infatti, da capo dello Stato rischia di diventare un tappeto di grande valore che copre la polvere delle magagne di un sistema da tempo al collasso. Magari funzionale ad un Pd che arriva all'appuntamento con il Colle, che da quasi trent'anni è un suo appannaggio, senza numeri e senza un candidato autorevole. E poi che ruolo potrebbe avere Draghi nella pacificazione di un Paese se non ha mai partecipato alla guerra? O, ancora, nel momento in cui si apre una nuova stagione nella giustizia (a primavera ci saranno i referendum), in una fase in cui bisognerebbe porre fine all'epoca in cui le toghe decapitavano la classe politica, una presidenza Draghi che significato avrebbe? Nessuno. Senza contare che è difficile immaginare che chi non ha partecipato in politica né alla Prima, né alla Seconda Repubblica, possa guidare l'improcrastinabile passaggio alla Terza.

Avrebbe sicuramente più senso per l'uomo che ora ha i favori del mondo guidare il Paese da Palazzo Chigi. Per ammodernarlo. Per il Quirinale c'è sempre tempo. Magari l'appuntamento è rinviato solo di due-tre anni. Basterebbe solo un po' di fantasia che in politica non guasta mai.

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