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Il leader della cellula islamista in Italia dal 2015 con lo status di rifugiato

Nelle intercettazioni delle forze dell'ordine, si evincono chiari ed evidenti intenzioni terroristiche: "Facciamo il gruppo Gabar in Italia"

Il leader della cellula islamista in Italia dal 2015 con lo status di rifugiato

Dalle prime ore di questa mattina, la polizia ha avviato un'operazione anti-terroristica che ha portato all'arresto di 14 persone nel nostro Paese e altri all'estero. L'indagine è stata coordinata dalla procura della Repubblica di Genova - Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo. Tutti i fermati hanno origine pakistana, tutti inseriti nel circuito relazionale diretto di Hassan Zaher Mahmood, il 27enne pakistano che il 25 settembre 2020, a Parigi, ha compiuto un attacco nei pressi della ex sede della rivista satirica Charlie Hebdo.

Due mesi prima dell'attentato sotto l'ex sede del giornale satirico Charlie Hebdo a Parigi, alcuni di loro si erano fatti una foto sotto la Torre Eiffel insieme all'attentatore e l'avevano pubblicata sui social con la didascalia "abbiate un po' di pazienza… Ci vediamo sui campi di battaglia". Tutti gli arrestati sono accusati di associazione con finalità di terrorismo internazionale. Dai primi riscontri effettuati sui fermati, è risultato che il leader della cellula islamica smantellata aveva lo status di rifugiato in Italia dal 2015.

Chi era il rifugiato arrestato per terrorismo

T.Y., stando a quanto rilevato dagli investigatori, ha fornito il proprio contributo partecipativo all'associazione terroristica, promuovendo, a partire dall'aprile 2021, la formazione di una cellula sedente e operante in Italia, attraverso il reclutamento di sodali, l'individuazione di un covo, l'acquisto di armi e offrendo ospitalità. Tra i suoi compiti c'era anche quello di mantenere rapporti e contatti con personaggi al vertice dell'organizzazione islamica. L'uomo era residente a Chiavari ed era ben noto alle forze dell'ordine, perché era era stato fermato in Francia per porto d'armi. Aveva anche precedenti in Italia per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. È stato il ritorno a casa a dare una svolta alle indagini, perché l'uomo da Chiavari si era trasferito a Fabbrico, dove aveva trovato lavoro.La cittadina emiliana è stata al centro di numerosi incontri tra diversi esponenti della cellula islamica.

L'ipotesi associativa è comprovata non solo attraverso i continui contatti virtuali e de visu degli indagati, ma anche grazie alla "captazione" di conversazioni intercorse tra T.Y. e tale Peer ("maestro"), poi compiutamente identificato in N.R., pachistano di 33 anni attualmente detenuto in Francia, anch'egli tra i destinatari delle odierne misure estese in campo internazionale.

I video sui social e le intercettazioni

L'uomo appariva sui social brandendo armi da taglio e e grandi coltelli. Mimava il "taglio della gola" per strada o dentro le abitazioni e spesso appariva avvolto da una tunica e copricapo neri mentre recitava testi inneggianti alla violenza e in compagnia di connazionali. Dalle indagini, coordinate dalla procura di Genova, è emersa una pubblicazione continua di video e post apologetici e violenti riconducibili alla cellula, ramificata in diverse province italiane e in alcuni Paesi europei.

Nei loro dialoghi, gli investigatori hanno individuato chiari passaggi in cui è nettamente emersa la volontà di entrambi di creare una cellula italiana del Gruppo Gabar, anche reclutando sodali. Inoltre, durante le intercettazioni. "Tra due mesi compriamo armi", dicono tra loro il capo della cellula italiana e il "maestro". E poi: "Ora bisogna andare in ogni città e trovare quelle 10 persone che mi servono, più saremo, meglio è", si dicono mentre cercano un posto dove stare. "Fammi lavorare due mesi, e poi troviamo una nostra 'Tana' e facciamo il gruppo Gabar qui in Italia".

"Un lavoro di prevenzione"

"Si tratta di una delle operazioni contro il radicalismo islamico tra le più importanti in Italia. Ha una dimensione europea", ha sottolineato Diego Parente, capo della Direzione centrale polizia di prevenzione.

"Si è trattato di una attività soprattutto a carattere preventivo" che ha permesso di bloccare sul nascere eventuali attentati e che "ci ha fatto capire che c'erano dei tentativi di creazione di cellule operative anche in Italia oltre che parallelamente in Francia e in Spagna". Così ha dichiarato il procuratore di Genova Francesco Pinto, aggiungendo che "dalle attività di indagine sono emerse frasi che non erano pacifiche" e che hanno fatto scattare l'allarme.

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