Cronache

Penne nere, sudore e cuore d'oro: gli uomini che (ri)fanno la storia

Penne nere, sudore e cuore d'oro: gli uomini che (ri)fanno la storia

Cambiano le situazioni, anche i mezzi tecnici, cambia il pericolo mortale che minaccia la Nazione o un pezzo di Nazione. Ma loro, gli alpini, poco importa se ancora in servizio o in congedo, ci sono sempre. Mostrano con leggendaria ostinazione, dal 1872 anno della loro fondazione, quelle caratteristiche che una penna (rigorosamente nera) migliore della mia ha descritto così. Scriveva, più di cento anni fa, Cesare Battisti: «La voce del dovere gli dice va, ed egli va senza spavalderia alcuna... Nel conflitto l'alpino si accinge con prudenza e con precauzione, ma quando è nella mischia nulla più lo trattiene».

In questi giorni in cui il conflitto è con un nemico invisibile e traditore, che colpisce soprattutto i più fragili, ecco che i volontari dell'Associazione nazionale alpini - che vanta sia quattro raggruppamenti di protezione civile sia la Sanità alpina/ospedale da campo - sono comparsi come sempre in prima linea. Hanno costruito a Bergamo, in un tempo record, un ospedale che ha del miracoloso. Lo hanno fatto perché dietro alle spalle hanno un'organizzazione meticolosa che di ciò che è militaresco prende la parte migliore, lasciando lungo la strada (l'alpino in montagna non porta niente di inutile) tutto quello che è burocrazia o retorica muscolare. La cosa più incredibile è anche l'agilità mentale, verrebbe da dire «flessibilità tattica», con cui è stato realizzato il progetto. Partito come idea di struttura campale d'emergenza, sulla base della Colonna Mobile, il progetto è stato modificato in corsa, per ottenere un vero e proprio ospedale con 72 posti di ricovero in intensiva e altrettanti in condizioni sub-intensiva. Il tutto con la capacità di coinvolgere anche moltissimi artigiani locali volontari che sono accorsi in massa, fidandosi delle Penne nere. Ma questa tendenza al miracolo - un miracolo umano fatto sempre di lavoro allo stremo - gli italiani l'hanno già vista all'opera molte altre volte, troppe per ricordarle tutte. Però guardando questo ospedale - un fortino salvavita, in una città sotto l'assedio di una malattia che la soffoca - non si può non ricordare quei volontari dell'Ana che scavavano in mezzo alle macerie del terremoto in Friuli del '76. O quegli alpini di leva che lottavano, immersi nel fango, per estrarre i vivi e i morti dopo la tragedia del Vajont nel '63. La dedizione e la volontà di lenire il dolore sono le stesse, anche se in questo caso le macerie sono immateriali, ma forse anche per questo più difficili da rimuovere, questa volta davvero è il nostro cuore il paese più straziato. Ma come sempre gli Alpini sono lì e pensano anche al futuro. Ha scritto il presidente dell'Ana Sebastiano Favero, parlando dell'ospedale (ma non solo): «Confidando nel fatto che i valori e l'efficacia che esprimiamo convincano sempre più della necessità di trovare per i nostri giovani forme di servizio al Paese che garantiscano anche in futuro straordinarie risposte come questa».

Perché gli alpini di oggi non dureranno in eterno, bisogna fabbricarne di nuovi.

Commenti