Ariosto, Trump e Kim Jong

Ariosto, Trump e Kim Jong

Grande festa ieri, in via Giuoco del Pallone, per ricordare Ludovico Ariosto, nella casa di mia madre a Ferrara. In quella casa visse e scrisse il poeta più libero e fantasioso d'Italia, celebrato nelle parole e nelle letture di Paola Bassani, di Mario Bertozzi studioso del Rinascimento, di Nuccio Ordine che ha giudiziosamente argomentato su «l'errore nell'Orlando Furioso».

Errore è anche errare, viaggiare, vedere, trovare cristiani e saraceni come oggi, in un singolare legame fra uno scrittore ferrarese e l'Orlando protagonista dei Pupi siciliani. Ariosto è così saggio che scopre l'umanità che unisce anche i nemici: «Oh gran bontà de' cavallieri antiqui! / Eran rivali, eran di fé diversi, / e si sentian degli aspri colpi iniqui / per tutta la persona anco dolersi; / e pur per selve oscure e calli obliqui / insieme van senza sospetto aversi». E non è la visione di Papa Francesco, ma la consapevolezza della inevitabile identità, razionale e sentimentale, della natura degli uomini, che soltanto gli artifici della storia possono mettere l'uno contro l'altro. Ariosto è consapevole che il mondo è dominato dalla follia.

Il suo protagonista, furioso, è pazzo.

Così che, dal rovesciamento di tutte le cose, il senno degli uomini, anche potenti, è finito in ampolle sulla Luna, dove Astolfo va a cercarlo, e lo trova. Dice bene, con infinita saggezza, Ariosto: «Sol la pazzia non v'è poca né assai; che resta quaggiù, né se ne parte mai». Che pensasse a Trump e a Kim Jong Un?

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