Ieri sera mi sono fatto del male, anche se per dovere professionale. Ho guardato la diretta della direzione Pd, annunciata come decisiva per le sorti del partito, del governo e del Paese. Le uniche cose che ho capito sono che Renzi sta prendendo per i fondelli quel bel pezzo del suo partito che lo detesta e che quei signori lo ricambiano con la stessa moneta. Non c'entrano il referendum né la legge elettorale, cioè i temi ufficialmente in discussione. La questione è personale, direi psichiatrica. Renzi vuole governare con il suo personale comitato di affari e se ne frega del partito, che considera un inutile contenitore di incapaci e falliti. I falliti, veri o presunti, considerano Renzi un imbroglione seriale, non si fidano, pretendono garanzie blindate non tanto su fatti politici ma sui loro destini personali, visto che, prima o poi, probabilmente prima, si tornerà a votare.
Penso che abbiano ragione tutti e due i contendenti di questa sfida tragicomica. Renzi è inaffidabile e i suoi oppositori sono politici modesti che negli ultimi vent'anni non ne hanno azzeccata una, come dimostra la storia, da Occhetto a Bersani. Il che pone un problema non da poco. Dentro il Pd, ma anche fuori. Perché se scoppia il primo partito italiano una possibilità sempre più concreta il botto sarà tale che gli effetti collaterali dell'esplosione non risparmieranno nessuno, a sinistra, ovviamente, ma anche dalle parti del centrodestra e pure da quelle grilline. Uno scossone che potrebbe addirittura essere salutare e riportare alle urne, in base al piano di ricostruzione di partiti e alleanze, almeno una parte di quel 50% di italiani che oggi disertano in quanto stufi di tanta ambiguità e orfani di riferimenti chiari.
Non so se Renzi riuscirà a comprare la minoranza con uno dei suoi colpi da prestigiatore o se questa, per paura, alla fine cederà al ricatto del segretario premier allineandosi all'indicazione per votare «sì» al referendum. Penso però che ormai sia troppo tardi perché una delle due cose produca effetti pratici.
La spaccatura sulla leadership di Renzi, e in parte sulla bontà della riforma, non è solo tra i quadri del partito, è arrivata dentro il corpo elettorale della sinistra, che mai aveva assistito a uno spettacolo del genere. In sole otto settimane una ferita così non la si guarisce con un comunicato stampa. Né se annunci vittorie, né se comunichi tregue. Questa volta Renzi è davvero nei guai.
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