"Basta trattare noi sardi da appestati"

Parla Alessandra Zedda, vicepresidente di Regione Sardegna, nell'esordio del dispositivo anti-COVID previsto da un'ordinanza della Regione

"Basta trattare noi sardi da appestati"

“Sabato sarò a Milano per il battesimo di mia nipote, mi farò il tampone. In una fase così delicata vale anche e soprattutto la responsabilità individuale”: parla da zia Alessandra Zedda, vicepresidente della giunta regionale della Sardegna, assessore al lavoro ed esponente di Forza Italia.

Il numero 43 nella smorfia napoletana indica una figura paesana sempreverde dell’orizzonte italiano: la pettegola di paese. In effetti di dicerie e pettegolezzi sui focolai in Sardegna ce ne sono stati anche troppi. E sarà un caso, ma 43 è il numero dell’ordinanza adottata dal presidente della regione sarda Christian Solinas lo scorso 11 settembre.

Dunque onorevole Zedda, da oggi chi vuol venire in Sardegna cosa deve fare?

“A parte compilare il modulo sul sito “Sardegna sicura”, chi voglia venire in Sardegna dev’essere in possesso di un certificato che attesti la negatività a un test sierologico effettuato al massimo 48 ore prima della partenza. In alternativa il viaggiatore potrà sottoporsi al tampone o al test una volta a destinazione, restando in isolamento domiciliare fiduciario in attesa del test e, in caso di positività al COVID, di sottoporsi alla quarantena di 14 giorni prevista dai decreti del governo”.

Un bel po’ di obblighi…

“Io direi opportunità che vengono date ai cittadini per la salvaguardia della salute propria e degli altri. Sono condizioni attraverso le quali Regione Sardegna intende anche responsabilizzare il singolo cittadino”.

Il ministro per gli affari regionali Francesco Boccia ha affermato che la Sardegna è l’unica regione italiana ad aver avuto problemi con i protocolli nazionali di sicurezza ed è pronto a impugnare l’ordinanza del presidente Solinas. Lo scontro tra Cagliari e Roma continuerà a lungo?

“Da parte di Regione Sardegna nessuno vuole uno scontro istituzionale con il governo. Noi siamo sempre stati leali e abbiamo sottoscritto i protocolli di sicurezza nazionali. Ma chi è arrivato sull’isola non è stato controllato. E i sardi in altre regioni sono stati trattati come appestati. Una famiglia di nostri concittadini di Sanluri è stata respinta per ragioni assurde e non ha potuto visitare lo zoo di Roma. E i sardi che andavano in continente per lavoro sono stati guardati con sospetto quando non con ostilità. Esiste o no la par condicio tra le regioni? Non mi pare”.

Dall’inizio della pandemia a febbraio al 31 luglio la Sardegna contava 1.404 persone contagiate dal coronavirus (dati della Protezione Civile). Dal 1° al 31 agosto ci sono stati 2.114 casi. Cosa è successo?

“Il 15% dei turisti giunti in Sardegna ad agosto era portatore di COVID-19. I più giovani sono stati protagonisti di una movida internazionale dalle Baleari alla Croazia per poi concludere la stagione in Costa Smeralda. A Ibiza le discoteche sono chiuse, ma nelle ville chi ha controllato i party, le feste, gli assembramenti? Ecco come si è arrivati a questa situazione”.

Il Billionaire di Flavio Briatore, locale simbolo della Costa Smeralda, ha contato 58 casi di positività al coronavirus tra i suoi dipendenti, compreso l’imprenditore cuneese, e altri ospiti che si sono contagiati. La Regione ha qualcosa da rimproverarsi per non aver controllato queste situazioni?

“Rivendico la scelta di tenere aperte le discoteche. Non possiamo come amministratori né come governanti dire ai cittadini “siamo nella fase della convivenza con il coronavirus” e poi non accettare il benchè minimo rischio ragionato. Molti settori dell’economia italiano hanno ripreso a funzionare, come possiamo lasciare paralizzati il turismo e la ricezione? Detto ciò vale la responsabilità individuale degli imprenditori, che devono controllare la distanza tra le persone e lo stato di salute dei loro dipendenti. Inoltre i protocolli in materia stabiliti dal governo avrebbero potuto essere più stringenti e precisi”.

Il sistema sanitario sardo può reggere? L’ospedale di Sassari pare sia in sofferenza…

“Non è così, monitoriamo la situazione dei contagi cercando di tracciare i focolai, come accaduto appunto nel territorio sassarese. Abbiamo privilegiato la medicina territoriale, evitando il più possibile l’ospedalizzazione. I circa 160 posti di terapia intensiva presenti nella regione sono utilizzati in minima parte. E seguiamo attraverso al rete sanitaria tutti coloro che si trovano in isolamento domiciliare, un centinaio di cittadini solo a Cagliari, ad esempio”.

E i non residenti che hanno trascorso o stanno trascorrendo la quarantena in Sardegna?

“Si tratta di una questione su cui il governo dovrà intervenire, visto che i costi sono a carico di Regione Sardegna”.

A fine maggio il presidente Solinas aveva ipotizzato una sorta di “passaporto sanitario” per i vacanzieri diretti in Sardegna. Polemiche e scontri istituzionali che non hanno giovato al controllo della situazione. Non avreste fatto meglio a cercare un percorso condiviso?

“In vista dell’estate il presidente c’aveva visto lungo. L’abbassamento dell’età dei contagiati, i controlli a macchia di leopardo, u governo che metteva soldi per i monopattini e non per i tamponi a tappeto in porti e aeroporti, non lasciavano presagire nulla di buono. Da parte nostra, lo ripeto, c’è sempre stata e sempre ci sarà leale collaborazione istituzionale. Ma non è possibile che ogni volta che avanziamo una proposta veniamo tacciati di fobie, isterie o, peggio, di essere inospitali. Inospitali noi sardi?”.

Il turismo sardo fa registrare cali meno drammatici delle attese…

“Partivamo dal disastro di aprile, in pieno lockdown. Giugno e luglio hanno fatto registrare cali importanti, agosto un -20% che è pioggia sul comparto turistico e ricettivo, ma non è grandine come ci si poteva attendere. Ma aspetterei il 15 ottobre per una lettura dei dati più completa. Certo il meteo ci sorride a pieno viso”.

L’emergenza COVID secondo lei ha modificato la tradizionale ospitalità sarda?

“Direi persino che l’ha

rafforzata. Mi spiace invece che da parte di alcune regioni, come il Lazio, non ci sia stata apertura e disponibilità, anzi ho visto poco affetto. Alcune code avvelenate di queste settimane mi hanno sinceramente amareggiata”.

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