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"Basta verdetti politici" La controffensiva anti toghe

Dopo lo scandalo del Csm e la sentenza che annulla il dl Sicurezza, la Lega promette battaglia

"Basta verdetti politici" La controffensiva anti toghe

Alla buvette di Montecitorio il ministro della Giustizia, il grillino Bonafede, si appella alla lingua per spiegare il cortocircuito tra il testo del decreto bis sulla sicurezza e la sua applicazione da parte del Gip di Agrigento, che ha rimesso in libertà la capitana della Sea Watch Carola e mandato su tutte le furie Salvini. «Purtroppo osserva le leggi vanno sempre interpretate, come qualunque cosa scritta in italiano. Una lingua che ha le sue sfumature». Per cui secondo questa logica paradossale si suppone che bisognerebbe scrivere i decreti in inglese, in tedesco o, chessò, in greco antico, per renderli più stringenti. Ragionamento che, inutile dirlo, non convince il ministro dell'Interno: Salvini in aula parla di «scelta politica» del magistrato; si scaglia contro «i pregiudizi» di certi giudici che prima «di disattendere le leggi dello Stato, dovrebbero spogliarsi della toga e presentarsi alle elezioni con il Pd»; minaccia decreti sicurezza ter o quater, cioè fino a quando il provvedimento non sarà applicato alla lettera. E questo mentre Nicola Fratoianni, leader di Sinistra italiana, gli agita contro la decisione del Gip di Agrigento accompagnato da un «Rosicate!».

Qualcuno potrebbe pensare che siamo alla solita diatriba tra politici e magistrati, ma non è così: dopo settimane e settimane di intercettazioni sulle trame nel Csm che hanno svelato il mercimonio e le manovre a sfondo politico che si svolgono nel «dietro le quinte» dell'organo di autogoverno della magistratura, il Re è nudo. Le cronache hanno sdoganato pure quell'espressione, «sentenza politica», alla quale Silvio Berlusconi per venti anni è stato impiccato. Dopo le incursioni a tappeto del trojan di Palamara nel tempio della magistratura, nessuno osa teorizzare che il confine tra Politica e Giustizia sia invalicabile e il concetto stesso di «autonomia» è diventato un sepolcro imbiancato. Resta da vedere solo se è la magistratura a non essere autonoma dalla politica, o viceversa: ma poco importa, perché come nelle addizioni, cambiando l'ordine degli addendi, il risultato non cambia. Un concetto ormai molto chiaro nella mente dei leghisti che hanno lasciato sul campo personaggi come gli ex-sottosegretari Siri e Rixi e vedono in bilico per una sentenza a metà luglio il viceministro Garavaglia. «È l'interpretazione della legge che non convince spiega nei panni del giurista Claudio Borghi -: bisognerebbe istituire un comitato parlamentare che di fronte a sentenze contraddittorie dia un'interpretazione autentica della norma; come pure il Csm non può avere la maggioranza dei membri togati, mettendoli in condizione di infischiarsene di ciò che pensano quelli eletti dal popolo. Succede solo in Albania e in Slovenia. Se poi ci mettiamo pure le correnti, ci accorgiamo che sono i magistrati a fare politica. Sono problemi da affrontare».

Concetti che trovano allergici i grillini, ma, come il richiamo della foresta, in piena sintonia i «forzisti». «La politica confida Enrico Costa conta nulla, la politica la fanno i giudici. Ad Agrigento prima il Pm fa il duro e arresta Carola, ma il Gip usa il guanto di velluto e la rimette in libertà. Poi il prefetto espelle Carola e il Pm usa il velluto e dice che non è possibile. Tutti d'accordo per non far nulla». «Tra le telefonate tra Carola, i parlamentari del Pd e la Procura c'è da pensare insinua Piergiorgio Cortelazzo che i tempi siano stati studiati per trovare di turno proprio quel Gip». Già, le battaglie del centro-destra sulla giustizia inquinata dalla politica riaffiorano. «Ci vorrebbe un esame comparato sostiene il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli tra i casini del Csm e la procura di Agrigento: visto che Carola ha riavuto la libertà per la politica, il Pm dovrebbe avere il coraggio di incriminare i finanzieri».

Siamo alla sfida. Sfida che non convince, però, l'ex-ministro dell'Interno, Marco Minniti. «Le leggi - spiega su questi temi non servono: Salvini può fare pure cento decreti, ma con in ballo le organizzazioni umanitarie e il diritto internazionale, il giudice dà l'interpretazione che vuole. L'unica strada è il codice di comportamento concordato con le Ong. Né il ministro dell'Interno può ritagliarsi un ruolo alternativo alla magistratura: così il sistema salta! Salvini dovrebbe parlare senza proclami ma solo con gli atti, come un certo Minniti».

Solo che l'ex-ministro sbaglia a pensare che la magistratura sia come un tempo, inviolabile. Le cronache hanno fatto precipitare l'indice di gradimento dei giudici. «Questi con le loro interpretazioni delle leggi si sfoga il vicesegretario leghista, Andrea Crippa sarebbero capaci di far passare un cammello attraverso la cruna di un ago. Solo che la gente se ne è accorta e non ne può più. Sabato in Basilicata avevo la fila di persone a pormi il problema, a dirmi che per mettere in libertà quella il Gip ci ha impiegato 24 ore, mentre una mamma, con una figlia, attende una sentenza da tre anni e intanto paga avvocati su avvocati. Per lo stesso reato, nel suo paese in Germania, Carola si sarebbe beccato mesi e mesi di galera».

Appunto, ciò che sciocca nell'operato di pezzi della magistratura è l'assenza di obiettività a cui lo scandalo del Csm ha dato un nome: condizionamenti ideologici e di parte. Così l'atmosfera nel Paese sta mutando. «Se fossi nei panni dei magistrati avverte Giuseppe Gargani, già responsabile giustizia della Dc e poi per anni di Forza Italia avvierei un'autoriforma recependo quei due-tre punti avanzati da Berlusconi.

Se non lo fanno rischiano: per molti il nuovo Palazzo d'Inverno da assaltare è la magistratura».

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