Cronache

Battaglia giusta Ma le madri ventenni sono il passato

Battaglia giusta Ma le madri ventenni sono il passato

All'inizio il Fertility Day mi è suonato come una beffa.

Poi, gli strali piovuti addosso al ministro Lorenzin sono stati così tanti e pesanti che, forse anche per deformazione professionale, avrei fin voglia di difenderla contro tutti coloro che l'hanno messa in croce.

Cito fra i tanti Andrea Scanzi che, sul Fatto Quotidiano, definisce il Fertility Day «aberrante, retrogrado, indecente, osceno, bigotto, razzista, sessista, immorale e oscurantista»: null'altro? Mi verrebbe da replicare che se si sono celebrati con enfasi i Gay Pride come inno alla sterilità e alla omoaffettività, male non può fare ogni tanto festeggiare la fertilità, la famiglia, la procreazione. Un refolo di tradizione che, evidentemente, disturba i più.

In Italia viviamo, per retaggio costituzionale, nell'insopprimibile senso di colpa del Ventennio fascista, di modo che tutto ciò che lo riecheggia, inclusa la campagna per la fertilità, viene automaticamente bollato come reazionario. Altrove in Europa, dove non hanno conosciuto il Duce, questo non sarebbe accaduto e, infatti, sono state efficacemente congegnate campagne molto meno confusionarie di questa. Sì, perché il problema del Fertility Day è stato proprio il difetto originario nel concepimento dell'evento, il mancato raccordo con la politica, gli errori nel veicolarlo mediaticamente. Un disastro, insomma, che ha partorito un pastrocchio aggredibile sotto ogni profilo.

Il ministro Lorenzin, di fronte al boato generato, è corsa ai ripari specificando di essersi voluta occupare solo dell'aspetto medico, ma proprio la presentazione dell'iniziativa da parte del suo ministero parlava di necessità di mettere a fuoco, fra le altre cose, «la bellezza della maternità e paternità», aspetto che, francamente, non ha nulla di sanitario, ma attiene ad una delicata scelta personale. Una campagna siffatta andava, semmai, accompagnata con specifiche politiche sociali a tutela della filiazione e della famiglia, come è avvenuto in Francia o in Scandinavia, dove operano concreti incentivi in termini di assegni e servizi a sostegno dei nuclei, soprattutto numerosi.

Sappiamo bene quanto sia appagante procreare senza che ce lo spieghi una campagna ministeriale e sappiamo altresì quanto sarebbe bello farlo il prima possibile: ma mala tempora currunt per chi ha famiglia e vive la sfida quotidiana di far quadrare un bilancio destinato al default, sfornito di sostanziali aiuti esterni o garanzie. La denatalità è figlia anche della prudenza e della paura, non solo dell'egoismo.

Senza reiterare la lista dei costi e delle difficoltà di un genitore nell'Anno Domini corrente, è evidente che tanto più uno Stato destina fondi alle famiglie, agevolando la sfida della maternità (solo Grecia e Lettonia spendono meno dell'Italia, ho letto), tanto più facile sarà invertire i desolanti indicativi statistici. Anche perché la donna che un tempo diventava normalmente madre a 22 anni oggi, alla stessa età, è poco più che una bambina, incapace culturalmente ed economicamente di poter prendere in considerazione un progetto filiale.

L'auspicio è che il governo, anziché perdersi in Fertily Day, concretizzi quello che milioni di cittadini «normali» chiedono: varare politiche concrete e metterci la faccia non solo per quei fenomeni avanguardistici e di sapore moderno come le unioni civili, ma anche, più banalmente, per quella che l'articolo 29 della Costituzione definisce la «società naturale fondata sul matrimonio»: la famiglia.

Allora sì che la fertilità tornerà ad essere un tema condiviso.

Daniela Missaglia

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