A Berkeley ora insegnano la censura

A Berkeley  ora insegnano la censura

L' università di Berkeley in California è in fiamme, la polizia rimuove le barricate, ma la storica università libertaria che ha fatto sognare l'America tollerante è diventata, senza saperlo, un luogo più hitleriano che libertario. Una minoranza di mille e cinquecento studenti (su trentottomila iscritti) ha messo a ferro e fuoco il mitico campus dominato un tempo dalle figure di Joan Baez e Bob Dylan pur di chiudere la bocca e il microfono a un giovane scrittore di destra, peraltro gay, di origine greca e cresciuto in Gran Bretagna, Milo Yiannopoulos, che era stato invitato a tenere un discorso. Finora la freedom of speech, la libertà di parlare a Berkeley aveva fatto la differenza con le altre università americane e anche europee. Ma l'America oggi è in tumulto permanente contro Donald Trump, di cui Milo Yiannopoulos è un aperto sostenitore, mentre molti giornali come l'Huffington Post alimentano la ribellione di strada contro un presidente regolarmente eletto colpevole di aver vinto le elezioni. Trump, che usa i tweet come le Colt per sparare le sue reazioni, ha subito scritto: «Se l'università di Berkeley non consente la libertà di parola e pratica la violenza su persone innocenti con un'opinione diversa NIENTE FONDI FEDERALI? (così, in maiuscolo, ndr)». Il messaggio è chiaro: l'università vive con i fondi dello Stato, ma lo Stato è pronto a tagliarli.

Berkeley è stato negli anni Sessanta il campus in cui la libertà di espressione era un dovere morale e le grandi manifestazioni di allora contro la guerra nel Vietnam consistevano in giganteschi sit-in. La polizia interveniva trascinando via per i capelli i manifestanti che resistevano passivamente. Questo, un tempo. Ma oggi? Yiannopoulos ha detto: «Oggi quando la sinistra vede affermare la libertà di parola diventa pazza furiosa». Quaranta anni fa risuonavano in quel campus le note e le parole di «We shall overcome» e di «Where have all the flowers gone». Oggi non risuona alcun inno e la parola è soppressa da milizie di studenti simili ai black bloc o alle guardie rosse di Mao, che sfasciano le vetrate, incendiano i mobili e si comportano come i nazisti quando davano fuoco a cataste di libri di autori ebrei. L'uomo che avrebbe dovuto tenere un discorso, ma che ha dovuto rinunciare (aveva già parlato in molte altre università) è uno scrittore di 32 anni che attacca ferocemente qualsiasi posizione politicamente corretta e in particolare i luoghi comuni delle femministe, il movimento «Black Lives Matter» e i gay, benché sia lui stesso un omosessuale. Messo in salvo dalla polizia, ieri Milo Yiannopoulos commentava: «Farebbero qualsiasi cosa pur di impedire la libertà di espressione contro il pensiero unico di sinistra. La sinistra ha paura».

Prevedendo i tumulti, l'amministratore generale del campus Nicholas Dirks aveva scritto la settimana scorsa una lettera aperta alla comunità degli studenti difendendo il diritto di parola di Yiannopoulos «benché i suoi valori divergano da quelli della tolleranza, dell'inclusione e della diversità che sono quelli di Berkeley». Il povero Nicholas Dirks si è trovato in un tremendo imbarazzo quando ha dovuto constatare con i suoi occhi che l'antica tolleranza si era trasformata in violenza con incendi, bastonate, sassi e barricate.

Quello di Berkeley non è caso estremo e bizzarro, ma è una delle prove generali di un movimento che punta alle dimissioni di Trump entro quest'anno attraverso tumulti che dovrebbero provocare reazioni incontrollate della Casa Bianca.

Paolo Guzzanti

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