Passati quasi quattro giorni dalla conferenza stampa in cui Giuseppe Conte si è evidentemente fatto prendere la mano dando addosso in maniera piuttosto scomposta alle opposizioni, Palazzo Chigi sente il bisogno di mettere agli atti un comunicato stampa in cui ci tiene a precisare che quello del premier è stato un intervento che si è svolto con «le consuete modalità», illustrando «i provvedimenti adottati» e spiegando «i fatti più rilevanti», rispondendo «a tutte le domande dei giornalisti», «tanto sull'emergenza coronavirus quanto sul Mes». Una puntualizzazione che, quasi quattro giorni dopo, dà la misura di quanto la conferenza stampa del premier di venerdì sera - con le tv che ne hanno dato conto come fosse un vero e proprio messaggio a reti unificate - abbia inciso sugli equilibri politici nazionali.
Superfluo dire che l'affondo contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cui Conte ha fatto esplicito e voluto riferimento, non è passato inosservato. E in molti si sono chiesti se la scelta del presidente del Consiglio è stata dovuta all'ennesimo scivolone comunicativo oppure ad una reale e scientifica volontà di puntare il dito contro due dei leader dell'opposizione. Passati ormai tre giorni, la (quasi) certezza è che Conte - sbagliando o no, questo lo diranno le settimane a venire - abbia scientificamente deciso di affondare contro i leader di Lega e Fratelli d'Italia e, altrettanto consapevolmente, abbia voluto non coinvolgere nella querelle Silvio Berlusconi e Forza Italia.
Un cambio di marcia dovuto al nervosismo. Perché sul Mes e sull'approccio alla trattativa in Europa il Pd ha una visione sì critica ma decisamente molto più dialogante di quella che vorrebbe e che immagina Conte, sotto assedio del M5s e frustrato dai paletti che mette il Pd. Il segretario dem Nicola Zingaretti, d'altra parte, sulla questione è piuttosto chiaro. E in privato non fa mistero del fatto che «un punto di caduta va trovato». Per sintetizzare i dibattiti di questi giorni su Eurobond, Mes e recovery fund, il Pd non ha dubbi che l'Italia non abbia alternativa a «trovare un dignitoso punto di caduta».
Su questo fronte, però, c'è Matteo Renzi che continua a veicolare un messaggio molto esplicito. Italia viva, fa infatti sapere l'ex premier nelle sue conversazioni riservate e non, avrà a cuore l'interesse nazionale ma solo fino a maggio. E Conte lo sa bene, tanto che questa è una delle ragioni del suo affondo di venerdì. Il premier, infatti, ha sì attaccato Lega e Fratelli d'Italia, ma si è ben guardato dal fare cenno a Berlusconi, anche quando avrebbe potuto. Se davvero Renzi arriverà allo strappo - che lui lo teorizzi non significa che abbia veramente il coraggio di farlo - i voti di Forza Italia - soprattutto in Senato - potrebbero «risolvere» in qualche modo il problema e far sì che Conte continui a tenere una maggioranza.
L'alternativa, il premier ne è ben consapevole anche perché lo scenario è noto e oggetto di dibattito da tempo in tutti i Palazzi che contano, è quella di un governo di unità nazionale dal quale il premier si è di fatto chiamato fuori con il suo affondo di venerdì sera. Un approccio non unificante, che ha sostanzialmente dato fiato a chi sostiene la bontà di un esecutivo Draghi, in grado di trattare con l'Europa da una posizione di maggior forza.
Anche in questo scenario Forza Italia (e pure la Lega, quasi certamente non FdI) sarebbe in prima linea. Non è un caso che chi abbia avuto occasione di sentire in queste ore Silvio Berlusconi lo abbia trovato, politicamente parlando, di buon umore.
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