Liberata casa di nonna Rosa: grazie, se si vuole si può

Liberata casa di nonna Rosa: grazie, se si vuole si può

Neanche il tempo di lasciar asciugare l'inchiostro sulle copie del Giornale di ieri, e la signora Rosa ha riavuto la sua casa. L'appello accorato lanciato alle autorità - Questore e Prefetto in primo luogo - perché non abbandonassero al suo destino una donna anziana, privata della sua casa da un racket spietato mentre si trovava in ospedale, non è rimasto inascoltato. Questo induce alla gratitudine per la solerzia della risposta dello Stato (il «segnale immediato» di cui parla giustamente il Questore), e racconta - consolazione non da poco, di questi tempi - che un qualche ruolo la libera stampa continua a poterlo esercitare. E però pone inevitabilmente anche delle domande: quante altre donne, in questo Paese, vivono il dramma di Rosa? Quante sono costrette a risalire ogni giorno le scale, portando al braccio la borsa della spesa e nel cuore la domanda: troverò ancora la mia casa, il mio guscio, le povere, piccole cose che per me sono tutto? O dentro, tra le mie cose, ci sarà gente senza volto che il prepotente di turno ha voluto al mio posto? E chi mi ridarà la mia casa?

I blindati della Celere che ieri restituiscono a Rosa la sua casa dicono che difendere gli indifesi è possibile oltre a

essere giusto. Servono risorse, certo: ma servono soprattutto volontà, direttive politiche, la consapevolezza che l'essenza di uno Stato è anche difendere i deboli contro i prepotenti. Senza aspettare un articolo di giornale.

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