Bologna, boss della 'ndrangheta liberato due volte in due mesi

Al centro della vicenda Domenico Paviglianiti, un noto boss della 'ndrangheta oggi 58enne. La Procura di Bologna ha fatto ricorso in Cassazione

Bologna, boss della 'ndrangheta liberato due volte in due mesi

Il boss della 'ndrangheta Domenico Paviglianiti, uno dei pezzi da novanta dei clan di Reggio Calabria, è stato scarcerato per la seconda volta in due mesi. Il malavitoso, oggi 58enne, era stato catturato in Spagna nel '96. Di recente, l'ergastolo era stato sostituito con 30 anni di reclusione e ad agosto l’uomo era stato liberato dal carcere di Novara. In meno di 24 ore, però, era finito di nuovo dietro le sbarre su ordine della Procura di Bologna per diverso conteggio della pena. Ma la vicenda non si è conclusa qui. Lo scorso 18 ottobre, infatti, un gip ha accolto un'istanza della difesa disponendo la scarcerazione del 58enne.

Paviglianiti si trova al centro di una complessa questione procedurale per decidere quanto tempo debba ancora scontare in galera. Il carcere a vita era stato tramutato in 30 anni di prigione dal Gip di Bologna, Gianluca Petragnani Gelosi, a cui la Cassazione aveva affidato la competenza perché a Bologna era stata pronunciata l'ultima sentenza passata in giudicato. E qui che sono iniziate le controversie legali.

I difensori di Paviglianiti, gli avvocati Mirna Raschi e Marina Silvia Mori, avevano calcolato che, grazie all’indulto e alla liberazione anticipata, la pena terminava nel febbraio 2019. Per nulla d’accordo la Procura bolognese che, subito la liberazione dell’uomo ad agosto, aveva acquisito una nuova documentazione. Ritenendo che una delle sentenze, una condanna a 17 anni per associazione mafiosa nel 2005, si riferisse a fatti avvenuti dopo l'estradizione dalla Spagna avvenuta nel 1998, il procuratore aveva fissato il fine pena nel 2027. Così, dopo poche ore di libertà, i carabinieri avevano riportato Paviglianiti in cella.

La vicenda, a questo punto si complica ulteriormente. La difesa ha fatto un nuovo ricorso, accolto dal il gip Domenico Truppa. Quest’ultimo ritiene che la sentenza del 2005 è già stata valutata nei conteggi precedenti. La Procura di Bologna, però, non ci sta. Nel ricorso in Cassazione firmato dal procuratore aggiunto Lucia Russo e dal pm Michele Martorelli si sottolinea in modo inequivocabile come una delle condanne citate dall'Autorità giudiziaria di Reggio Calabria nel provvedimento di cumulo del 2012 riguardasse "fatti consumati in epoca successiva all'avvenuta estradizione e addirittura mentre il detenuto si trovava in carcere".

Per questo motivo, secondo i pm, è necessario rideterminare la pena residua da scontare, adottando un criterio di calcolo

diverso da quello del pm reggino. In base al ricorso, proibire questa facoltà "costituisce scelta sorprendente" e in conflitto "con i principi e le norme in tema di esecuzione delle pene detentive".

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