La Buona Scuola diventa legge ed è subito scontro sulla cosiddetta norma gender. Uno scontro che passa per i cartelli esposti dalla Lega Nord in Aula, costati l’espulsione al capogruppo Fedriga, e per chi invece, come il deputato del Pd, Edoardo Patriarca, della Commissione Affari Sociali, nega che nel provvedimento ci siano “riferimenti al gender”. Eppure qualche riferimento a queste teorie nel testo della legge, sembra esserci. Tant’è che per mettere d’accordo tutti è stata necessaria la circolare ad hoc del ministro dell’Istruzione Giannini sul consenso informato. Il tanto contestato comma 16 del ddl Buona Scuola infatti, assicura l’attuazione dei principi delle pari opportunità con la promozione “dell’educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall’articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93”. Queste tematiche includono, secondo la legge citata, la prevenzione della violenza sulle donne e della discriminazione di genere. Fin qui nulla di particolare. Ma per capire che il “genere” di cui si parla non si riferisce alla mera nozione di “sesso biologico”, basta approfondire il quadro normativo a cui il testo si richiama. E in particolare due documenti: la Convenzione di Istanbul, che viene di fatto recepita ed attuata con la legge 119 del 2013 a cui il testo della nuova legge si riferisce, e il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, cui fa riferimento l’articolo 5 comma 2 della stessa legge. Nella Convenzione di Istanbul, ad esempio, vediamo infatti come la definizione di “genere” sia messa nero su bianco, e come non si parli appunto, di “sesso biologico”, ma di “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti”. Facendo quindi chiaramente riferimento al filone dei gender studies, per cui il sesso non sarebbe un’attribuzione naturale e biologica, ma una costruzione sociale. Il Piano straordinario, poi, va anche oltre, attribuendosi come obiettivo prioritario, tra gli altri, quello di educare al “superamento degli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne o uomini (…) mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”.
Fino a prova contraria dunque, “sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori” al nuovo approccio “gender” è previsto nella Buona Scuola. E questo ha suscitato le reazioni più o meno infiammate di oggi alla Camera. Dalla protesta della Lega Nord che minaccia denunce, alla posizione tenuta dai deputati Gian Luigi Gigli e Mario Sberna, del gruppo Per l'Italia-Centro Democratico, che in una nota congiunta hanno spiegato che “pur condividendo gli obiettivi della riforma”, hanno preferito non votare. L’On. Gigli, spiega infatti al ilGiornale.it: “avevamo presentato un ordine del giorno con il quale si chiedeva l'impegno del Governo affinché nel necessario contrasto della violenza e di ogni discriminazione fosse escluso ogni riferimento alle definizioni della Conferenza di Istanbul e alle tematiche del Piano straordinario contro la violenza sessuale e di genere, fortemente viziati dall'ideologia gender”. “La mancanza di precisi impegni al riguardo”, continua il deputato di Centro Democratico, “ci ha costretti a non votare con rammarico un disegno di legge del quale peraltro condividevamo gli obiettivi principali, quali merito, valutazione, autonomia scolastica, superamento della concezione statalista e attenzione alle paritarie, school bonus”.
Per il ministro dell’Interno Alfano invece, non ci sarebbe da preoccuparsi perché la circolare del ministro Giannini sul “consenso informato” dei genitori eviterebbe l’educazione gender nelle scuole. La soluzione della circolare ha ricevuto anche il plauso dei vescovi, con il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, che ha sottolineato come il consenso informato restituisca alla famiglia il primato sull’educazione dei figli. Monsignor Galantino, come riporta l’Ansa, ha inoltre affermato che la Buona Scuola "è un passo in avanti perché la nostra nazione è troppo abituata alla stagnazione". A questo punto però, la paura di molte delle associazioni promotrici della manifestazione no gender dello scorso 20 giugno a Roma, come Notizie Pro Vita e Manif Pour Tous Italia, è che la Cei si pronunci in maniera favorevole anche sul ddl Cirinnà sulle unioni civili. Negli scorsi giorni infatti, c’è stato un acceso botta e risposta a colpi di comunicati stampa tra questi movimenti e la Cei. La pietra dello scandalo sarebbe una presunta cena avvenuta tra il segretario generale e la senatrice Pd, nella quale, a giudizio delle associazioni, i due avrebbero raggiunto un compromesso sui punti principali del testo del ddl: l’equiparazione totale tra unioni civili e matrimoni e la stepchild adoption. La notizia è stata smentita ieri dal portavoce della Cei, don Ivan Maffeis, il quale in una nota diffusa dall’agenzia Sir ha accusato le associazioni di non aver fatto “alcun tentativo per verificare la veridicità” della notizia, prima di diffonderla. “In questo modo non si difendono valori, ma si veicolano falsità, sconcerto e confusione” ha precisato il portavoce. Pro Vita, tramite il presidente Toni Brandi ha però oggi insistito sulla necessità di un chiarimento ulteriore da parte dei vescovi, “necessario”, sottolinea, “per rassicurare le centinaia di migliaia di famiglie venute a Roma il 20 Giugno, convinte che la Cei non le abbandonerà e non accetterà compromessi per il ddl sulle unioni civili”.
Chiarimento arrivato in serata, con la smentita definitiva della Cei in cui si definisce “del tutto infondato” qualsiasi patto tra governo e vescovi e in cui si è colta l’occasione per spronare il governo a fare di più per la famiglia fondata su un padre e una madre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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