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Cade bimbo, scuola colpevole. Cade avvocato, tribunale assolto

Due tragedie, due voli nel vuoto. Un bambino precipita nella tromba delle scale di un asilo e muore. Un giovane avvocato cade dalla balaustra troppo bassa del tribunale e rimane paralizzato.

Cade bimbo, scuola colpevole. Cade avvocato, tribunale assolto

Due tragedie, due voli nel vuoto. Un bambino precipita nella tromba delle scale di un asilo e muore. Un giovane avvocato cade dalla balaustra troppo bassa del tribunale e rimane paralizzato. Entrambi i drammi accadono a Milano, ed entrambi - come è inevitabile - danno luogo all'apertura di indagini della magistratura. Per il primo episodio vengono indagate una maestra e una bidella, e la notizia finisce subito sui giornali. Per il secondo episodio, vengono indagati i capi degli uffici giudiziari milanesi: procuratore, procuratore generale, presidente del tribunale e della Corte d'appello: ma in gran segreto, e alla fine per tutti viene proposta l'archiviazione. La caduta dell'avvocato resta senza colpevoli e senza risarcimenti, come se fosse stata solo colpa della vittima e non di un pericolo noto a tutti, tanto che qua e là erano stati già piazzati dei rialzi ed ora, a tragedia avvenuta, le scale sono state circondate con delle transenne e dei cartelli: attenzione, pericolo! Se transenne e cartelli fossero stati messi prima, oggi l'avvocato camminerebbe con le sue gambe. Perché la maestra e la bidella sono colpevoli, come se dovessero pedinare i bambini ogni volta che andavano in bagno, e i magistrati sono innocenti? Esiste anche in questo campo una giustizia a due bilance? Sono domande antipatiche ma che sorgono spontanee. Anche perché sollevano l'ombra di un patto silenzioso di non aggressione tra colleghi. Una volta, per legge, sui reati dei giudici di una città indagavano i colleghi della città vicina, e viceversa. A parte odi atavici come quelli che contrapposero le procure di Messina e di Reggio, la competenza reciproca garantiva a tutti il quieto vivere. All'epoca la Procura di Brescia indagava sui reati dei magistrati milanesi, e Milano sui bresciani: risultato, nessun magistrato veniva mai indagato e quando proprio non si poteva farne a meno, come accadde per il procuratore di Brescia, accusato di avere fatto assumere la figlia in banca, il reato venne lasciato prescrivere dalla Procura milanese.

Per spezzare questo scambio di favori venne modificata la legge, impedendo le competenze reciproche tra uffici giudiziari. Ma non è cambiato niente, perché - casualmente - alla Procura di Brescia approdano spesso magistrati che hanno fatto buona parte della carriera a Milano, e che si trovano così a indagare su colleghi che fanno parte del loro vissuto. Il garantismo, a quel punto, è assicurato. Giustamente, si badi: gli inquirenti bresciani pare abbiano raggiunto la convinzione che androni e corridoi sono una terra di nessuno, della cui sicurezza gli indagati non erano tenuti a rispondere.

Ma forse la maestra e la bidella amerebbero essere trattate con lo stesso riguardo.

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