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Il calzolaio da museo: con le sue scarpe ha stregato la Formula 1

Negli anni ’60 fu un pioniere: inventò i primi modelli da corsa Da allora non ha mai più smesso e ha calzato tutti i grandi campioni

Il calzolaio da museo: con le sue scarpe ha stregato la Formula 1

L'ultimo ordine è arrivato da Dario Franchitti, pluricampione di Indianapolis, che per non perdere l’occasione ha deciso di presentarsi nel suo laboratorio: «Essere qui vuol dire mettere un piede nel cuore della storia dell’automobilismo». Ciccio sorride orgoglioso. Ma è abituato. Accoglie ogni nuovo successo con la modestia e il sorriso che lo sostengono da oltre sessant’anni di lavoro. Non si scompone nemmeno dopo aver visto l’ultimo documentario della Porsche, che ne celebra la «leggenda vivente». Le sue «opere» sono in mostra in otto musei, da quello della casa automobilistica tedesca a Stoccarda, fino a Maranello, nel cuore della Scuderia Ferrari che ha servito per oltre dieci anni. L’Unesco qualche anno fa lo ha addirittura proclamato «tesoro umano vivente». Un’eccellenza contemporanea. Eppure lui, Francesco Liberto, 81 anni, per tutti ormai «Ciccio di Cefalù», come il marchio creativo che ha lanciato nel mondo, lavora ancora con la tecnica e l’umiltà dell’artigiano di un tempo che non c’è più. Impegnato nel suo laboratorio nel cuore di Cefalù, in provincia di Palermo, il calzolaio-artista non smette di ricevere commesse da ogni angolo del pianeta. Il suo atelier con vista mare è una mostra permanente che condensa arte e storia. Perché le corse, per il Maestro, sono una passione che è diventata un tormentone – o «una pazzia» come la chiama lui - quanto la voglia di realizzare a mano le scarpe che hanno stregato i piloti delle grandi scuderie. Ferrari, Williams, Porsche, Mercedes, Lancia e Alfa Romeo. «Dalla Ferrari ho sempre rifiutato di essere pagato. Loro mi chiedevano le fatture, io mandavo le scarpe in omaggio. Quando hai a che fare con una scuderia così...».

Passione per il suo lavoro. Professionalità. E poi «correttezza, onestà, puntualità - spiega lui -. Con i tedeschi non si scherza». Tutto questo ha fatto di Ciccio una leggenda vivente. Un mix di tradizione e innovazione che ha conquistato i circuiti più importanti, dalla 500 miglia di Indianapolis alla Formula Uno, passando per i rally. Il modello più incredibile? «Quello per Vic Elford, il campione inglese. Era il ’68, mi chiese un paio di scarpe il venerdì sera per la gara di domenica. Io mi rifiutai. Lui si sfilò le sue e mi mostrò il piede. Aveva un alluce amputato. Mi disse: con queste scarpe non posso vincere. Domenica gareggiò con le mie e alle 14.10 era sul primo gradino della Targa Florio». In bottega è entrato a sei anni, per imparare il mestiere dallo zio. «Fu il mio asilo», racconta. E forse anche il suoMaster perché da allora quel laboratorio non l’ha mai più lasciato. I modelli creati a mano, la macchina da cucire sempre in funzione. Ma il grande salto arriva quando il suo destino si incrocia con quello delle star delle quattro ruote. Da Niki Lauda a Sebastian Vettel, da Clay Ragazzoni a Carlos Reutemann, da Jacky Ickx a Mario Andretti, da Didier Pironi a René Arnoux, da Herbert Müller a Rolf Stommeler fino a Michael Schumacher e agli italiani Nino Vaccarella e Andrea De Adamich. «Tutti i campioni hanno guidato e vinto con le mie scarpe», racconta fiero al Giornale. Il suo lavoro è così noto e riconosciuto nel mondo che è sbarcato anche a Hollywood con Rush, il film su Niki Lauda. Il regista Ron Howard ha preteso che sul set ci fossero le sue scarpe, come quando nel ’77 il campione austriaco vinse il mondiale.

L’amore per le corse Ciccio ce l’ha nel Dna, cresciuto a pane e Targa Florio in questo angolo di Sicilia che è stato la culla della più antica corsa del mondo, allora valevole per il Mondiale Marche. Una storia nella storia dei motori. Che si può ripercorrere attraverso le centinaia di messaggi, commesse e attestati di stima esibiti nel suo laboratorio. «Ti mando il foglio con l’impronta del mio piede - gli scrive Emanuele Pirro, cinque volte campione a Le Mans - Quando ero piccolo, mi ricordo che possedere le scarpe di Ciccio era una cosa molto speciale. Ti ringrazio di cuore e ti invio un affettuosissimo abbraccio». Anche CJ Wilson, l’ex campione di baseball ora lanciatosi nel mondo delle corse su Porsche GT3, spiega entusiasta dopo una visita nel suo studio: «È incredibile come una sola persona abbia potuto influenzare con il suo talento così tanta gente in ogni parte del mondo».

In effetti Ciccio è molto più che uno «scarparo», come ama definirsi lui. È soprattutto l’artigiano che all’inizio degli anni Sessanta, quando l’automobilismo comincia a perdere la sua impronta amatoriale per diventare professionismo puro, entra in un mercato che non esiste, inventandolo. Fino a quel momento non c’erano scarpe speciali per i piloti. Ciccio arriva, con la laboriosità di un giovane affascinato dalle corse, e colma la lacuna. «I piloti guidavano con i mocassini. Poi arrivarono da me Ignazio Giunti, Nanni Galli e Geki Russo, tutti e tre dell’Alfa Romeo. Capitava che si fermassero per settimane nei centri delle gare, facendo conoscenza con la gente del posto. Mangiavamo insieme una pizza e mi chiesero cosa facevo nella vita. Raccontai che ero calzolaio e sapevo fare anche scarpe ortopediche. Mi chiesero il primo paio. Da quel momento non ho mai più smesso».

Tecnica e professionalità. Così Ciccio inventa una scarpa morbida, anatomica. E bella. «Ho fatto una rastremazione delle punte, come in architettura, perché l’abitacolo dell’auto era molto piccolo e dovevo fare in modo che destra e sinistra non si toccassero. Poi ho dato il mio tocco personale, il colore». Che ha raggiunto il top quando è arrivato il contributo di Franco Cheli e di suo figlio Alessandro, scenografi dell’Accademia di Brera. Loro dipingono a mano le tomaie, Ciccio finisce il lavoro. Il risultato approda a Milano e le creazioni vanno in mostra proprio a Brera. «Nella vita devi seguire l’evoluzione delle cose e lasciarti travolgere. Io ho capito subito che quella era la mia strada». Cefalù è stata la sua culla e la sua ispirazione. Allora era solo un suggestivo centro di pescatori, prima dell’esplosione del Club Med e dei treni speciali per le vacanze da Parigi. Ciccio ha cominciato cavalcando quell’onda, conquistando prima le turiste francesi con i suoi sandali comodi e colorati, poi star del calibro di Alain Delon e Marc Simenon, il figlio-regista dello scrittore Georges che ha dato vita al Commissario Maigret. Così è entrato nel dizionario della moda Baldini & Castoldi. E guai a dirgli di trasferire la sua bottega dalla cittadina normanna. «Sono nato nudo e Cefalù mi ha vestito. Non lascerei questo posto per nulla al mondo. Me lo proposero anni fa, quando l’alta moda milanese sfilava qui. Insistette parecchio Mila Contini, grande firma del settore. Io mi sono sempre rifiutato. Uno dei mali peggiori della nostra isola è l’impoverimento totale, la fuga dei giovani migliori». Ora è il momento di rimettersi al lavoro. Ci sono due ordini dall’Australia. «Basta questo a farmi l’uomo più felice del mondo. E mia moglie Angela, che mi sopporta ancora a distanza di 48 anni». Intanto fra i ricordi spunta un libro. È Il cane giallo di Georges Simenon.

Lo apre, c’è una dedica dello scrittore: «A Ciccio, che fa le meraviglie».

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