MilanoDi solito, a finire sui giornali per aver detto o fatto qualche sciocchezza - tipo la tripla bocciatura alla maturità, una fidanzata in comune con il calciatore Mario Balotelli, o l’autocertificazione di padanità turistica del «non sono mai sceso sotto Roma», fino alla massima che «nella vita penso si debba provare tutto tranne due cose, i culattoni e la droga» - è l’altro, il «Trota». Ma stavolta, la cronaca riguarda uno dei fratellini di Renzo Bossi, Roberto, secondogenito (di seconde nozze) del leader Umberto.
È stato condannato ieri dal giudice di pace di Gavirate a risarcire con mille e 400 euro un militante di Rifondazione comunista, colpito durante una manifestazione elettorale in quel di Laveno Mombello (Lavén Mumbèl, detto in lumbard), comune di 9mila anime con vista sul Lago Maggiore. Colpito con cosa? Un gavettone. Ripieno di candeggina.
Roberto, che da qualche tempo è entrato nello staff del Senatùr nonostante la garanzia che non avrebbe seguito le sue orme («quello che ama davvero - disse di lui il padre - è l’agricoltura»), viene descritto come un ragazzo schivo e poco interessato alla ribalta. Ma, evidentemente, la politica gli scorre nelle vene. Così, nel marzo di due anni fa, decide che le elezioni amministrative sono l’occasione per contribuire alla causa del Carroccio. Valle dopo valle, paesino dopo paesino, batte il terreno per rischiararlo con il Sole delle Alpi. Lui - oggi 21enne, militante dei Giovani Padani della sezione di Cuveglio, a un tiro di schioppo dalla natia Gemonio - si scontra con Gigi Schiesaro, 49 anni, artigiano di sinistra (quella con la falce e il martello) che l’ultima notte di campagna elettorale va a Laveno assieme ad alcuni compagni a staccare i manifesti della Lega, affissi - dice - abusivamente. Due gruppi contrapposti. Padani e internazionalisti.
«Qualche sera prima avevo avuto un litigio con dei ragazzi della Lega Nord - aveva raccontato Schiesaro ai giornalisti - A un certo punto è arrivata un’auto e mi hanno lanciato un gavettone con acqua e candeggina. Sono stato anche medicato in ospedale, con una prognosi di sette giorni perché qualche schizzo mi è entrato in un occhio». Macché, replicano i lumbard. È stato il comunista ad aggredirli per primo. I carabinieri prendono nota, e trasmettono l’atto al giudice. Vengono identificate le due persone a bordo del furgone Fiat Ulisse. Una è E.R., un militante di Besozzo che aveva denunciato di essere stato colpito da Schiesaro con l’asta di una bandiera, ma anche lui condannato. E l’altro è proprio Roberto Libertà Bossi. Il figlio del Senatur.
E sì che il magistrato aveva pure cercato una conciliazione tra le parti, ma figuriamoci. Con gli ideali non si scende a compromessi. E così è arrivata la condanna.
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