Cronache

Caro Salvini, non fare la fine di Renzi

Caro Salvini, non fare la fine di Renzi

Che cos'hanno in comune Salvini e Renzi? Finora, due cose: il nome di battesimo e l'aver raggiunto, a un certo punto della loro carriera politica, un enorme consenso popolare.

Renzi arrivò all'apice di quel consenso alle Europee del 2014, quando portò il Pd oltre il 40 per cento. La luna di miele con gli italiani durò ancora qualche mese, poi qualcosa cominciò a incrinarsi. Renzi fece anche alcune cose buone, riforme coraggiose. Ma commise molti errori. Si comportò da ducetto, si attorniò di collaboratori più amici che competenti, non tenne conto di alcun consiglio, cambiò perfino espressione del viso apparendo spocchioso, strafottente, arrogante, in una parola antipatico. Perse il referendum del dicembre 2016 più per questi atteggiamenti che per i contenuti della riforma che presentava, visto che gli italiani, di quei contenuti, conoscevano poco o nulla (non ne sapevano molto nemmeno i politici del Fronte del No, visto che Alessandro Di Battista arrivò a dire che la Costituzione non poteva essere cambiata perché «approvata a suffragio universale dagli italiani»).

Comunque. Renzi, che aveva conquistato anche molti italiani di centrodestra, si trova ora ai minimi storici, abbandonato perfino dai tradizionali militanti del Pd. Perché? Perché, oltre agli atteggiamenti sbagliati, Renzi ha cambiato - o ha dato l'impressione di cambiare, che in politica è la stessa cosa - l'anima del suo partito. Ha abbandonato il popolo della sinistra, si è fatto vedere più con i finanzieri che nelle sezioni, ha dato l'impressione di essere entrato in politica a sinistra solo perché a Firenze non ci sarebbe stata altra strada per vincere. Per questo ora il Pd non lo sente «suo». Un partito non può cambiare Dna come non lo può cambiare un giornale. Sarebbe come se questo quotidiano da domani diventasse grillino: i lettori lo abbandonerebbero.

Che cosa c'entra tutto questo con Salvini? C'entra in quanto a possibilità, in quanto a rischio. Salvini è stato molto bravo a percepire le istanze del popolo, ha vinto meritatamente le elezioni, da ministro si è mosso bene sul piano della sicurezza e dell'immigrazione, quanto meno ha affrontato realtà e problemi che altri volevano nascondere sotto il tappeto. Ma ora, approvando (anzi, subendo) le riforme economiche dei grillini, rischia di ripetere lo stesso errore di Renzi: quello di snaturare il proprio partito e il proprio popolo, di rinnegarne l'anima.

Certo, i tempi cambiano, e i partiti si adeguano. Non fino al punto, però, di stravolgere le battaglie storiche. Se qualcuno, ai tempi di Bossi, avesse provato a pensare a qualcosa di più lontano dal sentimento leghista, non sarebbe comunque arrivato a immaginare un reddito e una pensione di cittadinanza pagati dalle tasse e dai contributi del Nord e destinati al Sud, nelle tasche (non solo, ma soprattutto) di chi non ha mai lavorato o lavora in nero. Neanche la peggiore e più chiacchierata Dc del Mezzogiorno era mai arrivata a tanto assistenzialismo. Ora scopriamo che perfino i Rom, che Salvini voleva cacciare con le ruspe, percepiranno quel reddito e quella pensione.

Non sto neanche a dire se queste misure economiche siano giuste o sbagliate: ciascuno può pensarla come vuole. Ma nessuno, dico nessuno, può negare che una cosa del genere sia quanto di più lontano dalla vocazione storica della Lega e dalla sensibilità dei suoi elettori.

Ecco perché ci permettiamo di dire a Salvini di stare attento, perché la vittoria nei sondaggi è fugace, e se non si corregge la strada si finisce con l'avere in comune, con l'altro Matteo, anche una terza cosa: la caduta.

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