Cassazione: "Anche i cacciatori maltrattano gli animali"

I giudici estendono il reato: ora sono punibili le violazioni commesse da circhi, doppiette e laboratori

Cassazione: "Anche i cacciatori  maltrattano gli animali"

Confesso che, a una prima lettura del comunicato stampa, ho fatto un salto sulla seggiola. Vedevo già torme di cacciatori in marcia su Roma con i fucili in spalla, allevatori inferociti mollare tori e vacche sulle autostrade e titolari di circhi liberare tigri e leoni nei pressi dell'entrata di Montecitorio. Non poteva essere così e infatti una più attenta lettura della sentenza, emanata dalla Corte di cassazione, chiariva la portata del provvedimento che comunque può definirsi epocale.

Erano decenni che attività come quella venatoria o quella circense o quella che riguarda allevamenti e trasporti di animali domestici, nascondevano le loro nefandezze dietro la quasi completa immunità conferita loro da normative speciali, facendola franca a dispetto del Codice di procedura penale. Ebbene, d’ora in poi, i furbastri dovranno fare molta più attenzione. Cerchiamo di spiegare bene, a beneficio del lettore, una materia non poco intricata per chi non è del mestiere.

La pratica della caccia, ad esempio, ha una sua normativa speciale, per cui, chi infierisce con vere e proprie torture sugli animali d’interesse venatorio, di solito la fa franca invocando, davanti al giudice, appunto questa normativa particolare, creata pro domo sua. Facciamo un esempio pratico. Le norme sulla caccia consentono l’uso di richiami vivi. Sono uccelli che vengono legati a un palo e, con il loro richiamo vocale e i tentativi di volo, fanno avvicinare fratelli e cugini cui il cacciatore spara. Va da sé che il richiamo tenta di volare ma la corda interrompe il battito d’ali e l’uccello spesso cade malamente lungo il palo. Fra parentesi, fino a non tantissimo tempo fa, era anche consentito accecarli. Con la sentenza 6 marzo 2012, la Corte di cassazione ha stabilito un principio fondamentale in materia di crimini contro gli animali, ovvero «che tutti gli animali possono essere vittime del delitto di maltrattamento di cui all’articolo 544 ter del Codice penale, al di là del fatto se siano o meno oggetto di un’attività speciale, come la caccia, la sperimentazione o i circhi». A questo punto, il cacciatore che usa il richiamo vivo nel modo prima descritto, potrebbe essere incriminato per maltrattamento e non avrebbe più la possibilità di nascondersi tra le ampie gonne di «mamma normativa sulla caccia». La mamma non ci sarà più, il latte da succhiare neanche e si dovrà cominciare a farla autonomamente nel vaso, lavandosi il sederino.

Onore e merito alla Lav (Lega Antivivisezione) che, con il certosino lavoro dell’avvocato Campanaro, è risucita a sfruttare una sentenza del tribunale di Pistoia che mandava assolta una struttura circense accusata di maltrattate gli animali che deteneva. Il ricorso in Cassazione ha avuto esito positivo, nel senso che la Corte si è opposta all’assoluzione in primo grado del titolare, denunciato a suo tempo dalla stessa Lav. Esultano il presidente della Lav (Felicetti) e l’avvocatessa Campanaro. «È quanto da sempre sostenuto dalla Lav sin dall’approvazione della legge del 2004, ovvero che tutti gli animali sono oggetto di tutela penale e non è assolutamente concepibile che un animale, solo perché oggetto di un`attività commerciale, sia per questo passibile di qualunque tipo di maltrattamento».

Esulta anche l’Enpa, associata da poco con la Lav in una medesima Federazione.

Importante, infine, che la Cassazione rilevi che, lungi dall’essere una mera facoltà, i Servizi veterinari pubblici in qualità di soggetti preposti ai controlli, in presenza di fatti costituenti reato ovvero maltrattamento, hanno l’obbligo di denuncia

imposto dall’articolo 331 del Codice di procedura penale in quanto pubblici ufficiali ed incaricati di un pubblico. In altri termini «datevi una mossa e ricordatevi dei vostri doveri per quanto concerne il benessere animale».

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