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Chiesa e stampa. Tutti pazzi per Giorgetti

Fosse un film, il titolo potrebbe essere Tutti pazzi per Giorgetti

Chiesa e stampa. Tutti pazzi per Giorgetti

Fosse un film, il titolo potrebbe essere Tutti pazzi per Giorgetti. Certo, il numero due della Lega non ha niente a che fare con la Cameron Diaz che nella celebre pellicola del 1998 vestiva i panni della corteggiatissima Mary, ma ormai da giorni è certamente uno dei politici più apprezzati e adulati. Da ogni parte e perfino dalla stampa tradizionalmente non vicina né al Carroccio né al centrodestra.

Che Giorgetti abbia da tempo un suo profilo di autorevolezza e credibilità non è certo un segreto, altrimenti non si sarebbe riuscito a guadagnare il soprannome di Gianni Letta della Lega. Lui, sempre un passo indietro al Capo, che - come ama ripetere spesso - lavora sottotraccia e solo per il segretario del partito, chiunque sia. L'ha fatto con Umberto Bossi prima, con Roberto Maroni poi e infine con Matteo Salvini. Ritagliandosi sempre un ruolo centrale nei processi decisionali del Carroccio e senza mai finire vittima dello spoil system interno, una pratica che a via Bellerio è molto in voga fin dai tempi d'oro del Senatùr.

Eppure qualcosa sembra cambiato rispetto al passato, con il tonfo della Lega alle ultime amministrative a fare da spartiacque. Giorgetti ha infatti deciso di uscire dalle retrovie, ha ammesso francamente la sconfitta («abbiamo perso, non si può negare») e ha iniziato martellare sulla necessità che in Europa il Carroccio apra un confronto con il Ppe piuttosto che continuare a congelare i suoi 29 eurodeputati, condannati all'irrilevanza politica perché al Parlamento Ue siedono nel gruppo di Identità e democrazia insieme al Rassemblement national di Marine Le Pen e ai tedeschi di Alternative für Deutschlandl. Una decisa sterzata, soprattutto rispetto a un Salvini che non pare aver preso atto della brutta frenata registrata alle elezioni e confermata anche dagli ultimi sondaggi sul gradimento dei leader (in alcuni si è infatti visto scavalcare da Giorgia Meloni).

Eppure dall'entourage dell'ex ministro dell'Interno fanno sapere che i due giocano d'intesa, circostanza categoricamente smentita da chi in questi giorni ha avuto occasione di sentire Giorgetti. La sua, concordano, non è un'operazione contro il segretario, ma l'esigenza di bilanciare al centro il baricentro politico della Lega non è più rimandabile. «Il popolo può anche essere con te, ma senza apparato, senza relazioni, senza solidi rapporti con le istituzioni italiane e europee è quasi impossibile governare», è il ragionamento del numero due della Lega. E chissà che non l'abbia ripetuto a Salvini proprio ieri mattina, quando i due si sono incontrati al Senato per circa un'ora. Un confronto che non pare abbia risolto le divergenze, anzi.

Dentro la Lega, intanto, la linea di Giorgetti inizia a fare proseliti, anche perché la questione della collocazione del partito diventerà ancora più importante se, come sembra, si arriverà a un legge elettorale proporzionale. E fuori dal Carroccio osservano con interesse il tentativo di ridimensionare la spinta populista. Qualche giorno fa, intervistato dal Corriere della Sera, il cardinale Camillo Ruini ha invitato Salvini e Meloni a «sciogliere il nodo dei loro rapporti con le forze che sono stabilmente alla guida dell'Ue». Parole interpretate come una sorta di endorsement alla linea Giorgetti. Che, mai come ora, è blandito perfino dalla stampa tradizionalmente avversa che adesso invece gli dedica ampio spazio. E pure al centro c'è grande stima verso l'ex sottosegretario. Ieri, per dire, il vicecapogruppo di Forza Italia Giancarlo Rotondi, reduce democristiano, in un'intervista ad Avvenire lo ha definito «una delle migliori teste del centrodestra» immaginandolo come «futuro premier».

E siccome Rotondi è un navigatore esperto quando sono in vista sommovimenti al centro, non è affatto un caso che sempre a Giorgetti guardino con un certo interesse i parlamentari che ieri sera hanno partecipato a Roma alla cena organizzata da Mara Carfagna e Giovanni Toti per gettare le basi di un nuovo contenitore politico moderato alleato di Lega e FdI e che vada oltre Forza Italia.

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