Un commissario per Taranto

Basta prendere in giro i cittadini italiani. Basta scambiare la transizione ecologica con l'estorsione mascherata. Se Taranto non vuole più l'Ilva, lo dica chiaramente. Ma con la stessa chiarezza accetti il prezzo

Un commissario per Taranto

Siamo al capolavoro dell'ipocrisia istituzionale. Taranto vuole spegnere l'ex Ilva ma senza perdere nemmeno una mensilità. Si invoca la "salute pubblica", si piange sulle "morti da inquinamento", si sventola il vessillo del green deal pugliese, e intanto si fa la coda sotto i portoni ministeriali per strappare nuovi bonus, cassa integrazione illimitata, prepensionamenti ad personam e finanziamenti a pioggia. Una sceneggiata tragicomica, degna del miglior teatro napoletano. Ma qui non si ride: si paga. E a pagare, come sempre, è lo Stato. Cioè noi contribuenti, che in 13 anni di rimandi da un tribunale a un consiglio comunale e viceversa abbiamo visto andare in fumo una ricchezza economica stimata in 40-50 miliardi.

Da troppo tempo assistiamo al balletto dei ricatti locali, orchestrato da una classe dirigente che gioca su due tavoli con la disinvoltura dei bari vecchio stampo. I sindaci fanno i paladini dell'ambiente, ma poi trattano sottobanco per garantire continuità di reddito a una città che ha fatto del piagnisteo un'industria nell'idea che esista un diritto al salario indipendentemente dalla produzione. Se la classe dirigente locale ritiene che l'acciaieria sia incompatibile con la salute pubblica tesi su cui vi è ampia letteratura ma anche numerose e autorevoli opinioni divergenti allora lo dica con chiarezza e si assuma la responsabilità di costruire un nuovo modello di sviluppo, con i propri mezzi e le proprie competenze.

La Regione Puglia tuona contro l'impianto, ma allo stesso tempo firma progetti di riconversione industriale che gridano vendetta al cielo: milioni di euro per parchi eolici che non esistono, corsi di formazione per lavori che non verranno mai svolti, start-up inventate per assumere amici degli amici. La solita commedia italiana del voto di scambio mascherato da giustizia climatica.

E il governo? Il governo ci casca. A ogni tavolo convocato al ministero delle Imprese (che non a caso è diventato il confessionale del disastro), c'è un nuovo Piano di Rilancio scritto col carboncino sul tovagliolo. Tre righe in croce, una slide e una promessa: "Faremo un nuovo modello produttivo green, sostenibile e a impatto zero". Ma nessuno dice con quali soldi. Nessuno dice con quali competenze. Nessuno dice dove finiranno i quasi 20.000 lavoratori tra diretti e indotto che ruotano intorno all'ex Ilva come satelliti di un pianeta in rovina. E soprattutto, nessuno osa toccare il punto: questa fabbrica o la chiudi per davvero, pagando il prezzo politico ed economico di un'intera area deindustrializzata, o la rilanci con investimenti seri, manager credibili e regole certe. Ma la mezza misura tenerla in coma farmacologico con i soldi pubblici è la via più vile.

Invece, gli enti locali pretendono l'impossibile: chiudere l'acciaieria e conservare l'economia che ha generato; spegnere le cokerie, ma continuare a incassare il salario; non produrre più acciaio, ma mantenere in servizio l'indotto. È l'economia dell'assistenzialismo puro, il modello reddito di cittadinanza aziendale. Nessuno produce, ma tutti pretendono. E lo Stato paga, senza fiatare. Perché guai a dire che l'Ilva dà lavoro: è più comodo dire che uccide, ma nel frattempo tutti vivono grazie ad essa.

E allora basta. Basta prendere in giro i cittadini italiani. Basta scambiare la transizione ecologica con l'estorsione mascherata. Se Taranto non vuole più l'Ilva, lo dica chiaramente. Ma con la stessa chiarezza accetti il prezzo: niente più soldi, niente più agevolazioni, niente più illusioni. Si riconverta, ma a spese sue. Si inventi un futuro nuovo, ma senza la badante statale a portata di bonifico. E i sindacati smettano di minacciare scioperi ad ogni respiro: perché non esiste diritto allo stipendio senza produzione.

Se invece si decide che l'acciaio serve perché serve, e chi dice il contrario è un ideologo con la pancia piena allora si lavori per rilanciare davvero l'impianto. Si investa in tecnologia, si selezionino dirigenti veri, si adottino soluzioni industriali serie, magari copiando modelli tedeschi o giapponesi, dove l'ambiente è compatibile con la produzione. Ma per favore, basta con questa ridicola farsa.

Il governo prenda coraggio e dimostri al sindaco Piero Bitetti che si può fare anche senza di lui e dei suoi giochetti.

Ma varare un nuovo bando, come ha fatto ieri, senza procedere alla nomina di un commissario speciale che escluda l'amministrazione tarantina dalle procedure di approvazione dei grandi interventi, vuol dire infilarsi in una nuova palude. Dunque, agisca a 360 gradi: lo può fare, deve farlo.

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