Cronache

Il Comune che non paga mai. Neppure se lo ordina il giudice

Il sindaco di Cosenza blinda i beni municipali: impossibile pignorarli. E se lo chiedi sborsi per un "certificato di rifiuto"

Il Comune che non paga mai. Neppure se lo ordina il giudice

Cosenza - Vincono in tribunale. Si presentano a riscuotere e non solo non ottengono niente, ma sono anche costretti a pagare un ulteriore balzello.
Cornuti e mazziati. Lo sono un po’ tutti gli italiani ai tempi della crisi. Lo sono ancor più i cosentini, alle prese con una situazione emblematica. Nel nome della legge, a Cosenza accade che neppure i tribunali, ormai, riescano con le loro pronunce a far valere il diritto. Per capire: un passante cade in una buca provocata da lavori in corso non segnalati e il Comune rifiuta ogni risarcimento. La parola passa allora al giudice di pace e nel giro d’un paio d’anni s’arriva alla sentenza. Che quando è sfavorevole al cittadino, lo vede condannato al pagamento delle spese. Ma quando gli è favorevole, è ancora peggio. Il meccanismo è di quello infernali. Il vincitore del giudizio si presenta, forte della sua bella sentenza nel frattempo munita di formula esecutiva, allo sportello di tesoreria del municipio, gestito da un istituto bancario. Qui ottiene la documentazione necessaria a individuare le somme da sottoporre, eventualmente, a pignoramento. Naturalmente, il tutto previo pagamento di una somma commisurata all’entità del credito vantato ma che, comunque, il più delle volte non è mai inferiore ai 100 euro. Sembra fatta, ma è solo una tappa dell’incubo.
Il Comune di Cosenza, guidato dal sindaco Udc Mario Occhiuto (nella foto), sul finire dell’anno scorso ha adottato una delibera di giunta che recepisce i dettami normativi in tema di impignorabilità delle risorse pubbliche. Il che vuol dire che avendo il Municipio bruzio un saldo di cassa di 625.000 euro, per metà già pignorati, quel che avanza è impignorabile perché a specifica destinazione. «Non c’è via d’uscita per i cittadini», commenta il giornalista Fabio Melia, che dalle colonne della Gazzetta del Sud ha scoperchiato il pentolone. «Gli enti pubblici blindano il loro patrimonio, col conforto della legge, per poi violarla e generare ingiustizie. Si pretende il rigore nel pagamento dei tributi, si grida allo scandalo quando il governo impone nuove tasse, ma poi in periferia si fa altrettanto». Se non peggio: nella sanità, ad esempio, la musica è identica: sin dal 2010, con una norma pensata per essere transitoria e poi secondo italico costume prorogata di anno in anno fino al 31 dicembre 2012, vige il divieto di agire in via esecutiva contro le Asl delle regioni in disavanzo sanitario: Lazio, Campania, Puglia, Piemonte, Calabria. Così imprese e cittadini creditori devono rinunciare a ogni pretesa. Legalmente ineccepibile? Forse: la questione è stata rimessa da più d’un giudice al vaglio della Corte Costituzionale. Chiamata ora a pronunciarsi e a dire se davvero, in Italia, le leggi siano uguali per molti, ma non per tutti.

Stato compreso.

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