La congiura degli eguali

L'autonomia è appena stata concepita, ma già davanti alla culla c'è la fila di potenziali assassini pronti ad ucciderla.

La congiura degli eguali

L'autonomia è appena stata concepita, ma già davanti alla culla c'è la fila di potenziali assassini pronti ad ucciderla. Il via libera del governo è soltanto un primo passo formale, a cui devono seguire complessi passaggi tecnici ed istituzionali e soprattutto una definizione rigorosa delle coperture. Eppure, sinistra e governatori del Sud hanno già sfoderato le cesoie per potare il germoglio di riforma. «Distrugge il Paese», «azzera il Risorgimento» (!), «mette a rischio la lingua italiana» (!!) e soprattutto «è contro l'uguaglianza».

Ora, i dubbi di natura economica e tecnica sono legittimi: le coperture sono incerte e gli equilibri da rispettare delicati, che il progetto vada davvero in porto e che funzioni è tutt'altro che scontato. Inaccettabili, dannose e retrive sono invece le critiche di natura ideologica, che seguono il leit motiv dell'assistenzialismo, la zavorra peggiore del Paese. Perché - vale la pena ricordarlo - non è che fino ad oggi lo Stato abbia garantito uno sviluppo equo.

I dati dicono che il divario fra Nord e Sud sull'aspettativa di vita, l'occupazione, gli stipendi, la sanità e l'università è cresciuto in questi anni di splendido centralismo in cui l'autonomia era solo un'idea come un'altra, come Genova per Paolo Conte. Dire che «con la riforma si creano cittadini di serie A e di serie B» è falso. Ci sono già. E a crearli sono stati 160 anni di unità d'Italia in cui non si è mai voluto cedere alle comunità non tanto le risorse, quanto la responsabilità. Perché è questo il concetto più estraneo a certa sinistra ottusamente egalitaria: dall'impresa alla scuola, chi ha talento, possibilità e voglia deve poter crescere con le sue gambe, ovviamente senza sfruttare il più debole. Invece si preferisce sparare in un piede a chi corre più veloce per evitare che si allontani troppo dal più lento.

Decenni di sussidi a pioggia non hanno risolto i problemi delle Regioni più povere, basta fare un giro negli ambulatori o sulle strade del Sud. Allo stesso modo il reddito di cittadinanza, che inevitabilmente in gran parte finisce in quelle zone, non è stata la molla per innescare un processo virtuoso di investimenti, lavoro e crescita. E se non siamo all'anno zero è solo perché nonostante tutto al Sud esistono realtà più forti di questa inerzia calata dall'alto. Fino ad ora la ricetta è stata questa e non ha funzionato. Eppure metterla in discussione è sacrilegio e cinico darwinismo sociale. Vietato sostituire il paradigma liberale del laissez faire a quello marxista dell'«ognuno secondo i suoi bisogni».

Dire che l'autonomia è una secessione mascherata è ridicolo. Nella Germania federale dei Länder i miliardi di marchi per integrare l'ex Ddr hanno comunque ridotto le abissali differenze. Nell'Italia romacentrica i miliardi al Mezzogiorno non sono serviti a niente se non a creare clientele. Autonomia significa rispondere delle proprie spese e dei servizi erogati, così come delle eventuali storture. Significa gestirsi ed essere incentivati a migliorare. È uno sprone all'efficienza che premia il merito. Per questo - fatti salvi i previsti e necessari fondi di perequazione - è anche un investimento sulla voglia di riscatto del Sud.

Che a occhio si è anche stancato di essere dipinto paternalisticamente dai suoi finti paladini come il perenne povero, oppresso e vittima del sistema. Autonomia significa dare anche al Sud le risorse e la libertà di poter crescere. Con buona pace di chi sulla sua debolezza ha costruito status quo e consenso politico.

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