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A Conte fiducia con minacce: 28 grillini non votano per lui

Mancano ancora 17 giorni al doppio e decisivo appuntamento con Regionali e referendum, eppure l'aria che si respira nella maggioranza è già altamente tossica

A Conte fiducia con minacce: 28 grillini non votano per lui

Mancano ancora 17 giorni al doppio e decisivo appuntamento con Regionali e referendum, eppure l'aria che si respira nella maggioranza è già altamente tossica. Al punto che ieri, nonostante il fortissimo pressing di Palazzo Chigi e dei vertici parlamentari del M5s, non è stato possibile silenziare la fronda grillina a Giuseppe Conte. Il tanto discusso voto di fiducia sul decreto Covid, infatti, è sì passato. Ma con soli 276 «sì» e tante assenze tra i deputati del Movimento. Ben 28 stando ai tabulati della Camera, anche se il gruppo parlamentare grillino ci tiene a precisare che «gli assenti ingiustificati sono solo 7». La verità, come spesso accade, sta probabilmente nel mezzo. E il numero reale di dissidenti - chi ha scelto consapevolmente di non partecipare al voto di fiducia, a prescindere dal fatto che abbia poi deciso di trincerarsi dietro un certificato medico - sarebbe intorno alla ventina. Questo, almeno, è il conto del pallottoliere che ieri nel cortile di Montecitorio veniva aggiornato con una certa ansia nei capannelli dei deputati grillini.

Al di là dei numeri, però, quello che colpisce è soprattutto il clima di anarchia disordinata che regna all'interno del M5s, sempre più dilaniato e diviso per bande. D'altra parte, martedì Giuseppe Conte ha deciso di porre la fiducia proprio per anestetizzare un emendamento firmato da ben 50 deputati grillini che volevano silurare la norma sulla proroga degli incarichi ai vertici dei servizi segreti, disposizione inserita da Palazzo Chigi in gran segreto nel decreto Covid. C'è chi ha ipotizzato che la pattuglia dei dissidenti fosse guidata da Luigi Di Maio, sempre contento di mandare in affanno Conte e deciso a ottenere nuovamente la poltrona di vicepremier se dopo regionali e referendum si arriverà a un rimpasto. Altri ci hanno visto invece lo zampino di Beppe Grillo, anche lui ormai in rotta con Conte. Il ministro degli Esteri, dal canto suo, ha smentito categoricamente di avere avuto un ruolo nella vicenda, nonostante molti dei firmatari dell'emendamento fossero suoi fedelissimi. E ieri mattina, a conferma di quanto il clima fosse esplosivo, pure il premier ha bollato come «privi di fondamento» i sospetti su Di Maio. Il tentativo, secondo alcuni, di stemperare il clima e favorire il passo indietro dei frondisti. Che, in effetti, sono rientrati per buona parte. Ma non dopo avere mandato un «pizzino» a Conte, averlo costretto al voto di fiducia e avere comunque messo nero su bianco che la maggioranza va perdendo pezzi. Ieri, infatti, i «sì» sono stati 276, mentre neanche due mesi fa - il 7 luglio, quando si votò la fiducia sul decreto Rilancio - erano 318. Ben 42 di più. Numeri che se trasferiti sul Senato sarebbero da allarme rosso.

Discorso a parte, la scelta di porre - o imporre - la fiducia su un tema tanto delicato come la nomina dei capi dei servizi segreti, uno strappo senza precedenti su cui anche il Pd ha deciso di chiudere un occhio. Proprio per la delicatezza del ruolo dell'intelligence, infatti, le norme che riguardano questa materia sono sempre passate per il Parlamento. Non è un caso che diversi esponenti di maggioranza del Copasir - il Comitato parlamentare di controllo sui servizi - si siano espressi in maniera molto critica. E anche lo stesso Quirinale sembra non abbia troppo gradito la forzatura voluta da Conte. Chissà se è anche per questo che Conte ha deciso di continuare con il silenzio delle ultime settimane, rinviando il ritorno in scena previsto proprio per ieri con una conferenza stampa sulla scuola.

Sullo sfondo delle fibrillazioni interne al M5s, resta ovviamente il day after di regionali e referendum. Soprattutto le prime, infatti, potrebbero fare andare in fibrillazione la maggioranza, aprendo scenari nuovi. E magari soffiando sui venti di scissione all'interno del Movimento.

Non è un caso che nel Pd in queste settimane si stia lavorando su un gruppo di possibili responsabili, da chiamare in soccorso della maggioranza qualora ce ne fosse bisogno.

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