Sono sicuro che lo copriranno di contumelie. Aprirò i giornali questa mattina e leggerò: «Il ministro dei Beni culturali ha dichiarato: Meglio abolire l'insegnamento della storia dell'arte nelle scuole!». Tutte le anime belle indignate, tutte pronte a scendere in guerra contro questo barbaro che ha fatto il grave errore di dire la verità. La storia dell'arte non serve a niente. Intendo: così com'è. Così come io l'ho studiata. Anzi non l'ho studiata.
La mia insegnante di storia dell'arte era brava, ma scostante, e una sola ora alla settimana insisteva con tale pertinacia che non ci allontanammo, in tre anni, da Giovanni Pisano, studiato su brutte fotografie in bianco e nero. Provai repulsione per la storia dell'arte, io che amavo smodatamente la letteratura. E mi trovai a occuparmene soltanto all'Università, e soltanto per il caso fortunato di avere come professore Francesco Arcangeli, un insegnante come il Robin Williams de L'attimo fuggente. Comprendo dunque benissimo le ragioni di Bonisoli, un uomo che non ama la retorica ed evita i luoghi comuni, convinto che l'umanità sia irredimibile. Leggendolo mi venivano alla mente Gombrowicz che racconta di una visita in un museo e dell'oppressione di tanti capolavori in concorrenza l'uno con l'altro. Forse Bonisoli, benché l'amministri, non ama l'arte, e non si illude che basti dire: «Studiamola a scuola».
Così come non basta per la matematica, la fisica, il latino, il greco, che abbiamo studiato e dimenticato. Voglio dunque difenderlo, allinearmi con lui? Non l'ho fatto quando ha proposto di abolire la gratuità domenicale dei musei, non lo faccio ora. Ma lo guardo con curiosità e interesse.Un animale raro.
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