Contro il terremoto si ascolti la storia: in Sicilia urge corsa contro il tempo

Il terremoto è prima di tutto un fenomeno che fa parte della vita culturale del Paese. Ed è studiando la storia che si fa prevenzione

Contro il terremoto si ascolti la storia: in Sicilia urge corsa contro il tempo

Il terremoto, in Italia specialmente, è prima di tutto un fenomeno che fa parte della vita culturale del paese; nel corso dei secoli, ha cambiato volto ai territori, ha plasmato tradizioni, ha fatto comparire o scomparire usi e costumi lungo tutto lo stivale e nelle sue isole.

Il vero e principale problema è che, pur essendo il terremoto insito nella nostra vita culturale, gli italiani non hanno ancora la cultura del terremoto; la memoria corta, a volte forse anche pigra, che affligge in questo periodo storico la popolazione italiana, non paga quando di mezzo vi è il dovere di avere una ‘memoria geologica’, che nel caso del terremoto è soprattutto esercizio di memoria storica.

Forse grazie alla conoscenza della storia migliaia di vite potrebbero essere salvate; se gli italiani dedicassero al terremoto anche un decimo di quel che dedicano alla passione per la Serie A, gran parte della popolazione conoscerebbe quanto meno la storia sismica del suo territorio, cosa aspettarsi nel borgo o nella città dove si abita e dove si svolge la vita quotidiana. Ma così non è: oggi si parla di Amatrice, sette anni fa de L’Aquila, quattro anni fa dell’Emilia e così via; tutto però finisce lì ed arrivederci al prossimo sisma ed alla prossima gara di solidarietà in un paese che, per carità, almeno il cuore sembra averlo conservato dalla diaspora delle tante qualità un tempo peculiari al suo popolo.

Visto che in questi giorni le immagini di macerie e di crolli causati dal terremoto riempiono ancora giornali e telegiornali, è bene approfittarne per ridare voce e fiato ad un grido che da anni viene dalla Sicilia e che però rimane inascoltato tanto dalle istituzioni nazionali quanto regionali; nella più grande isola del Mediterraneo, è atteso un terremoto cento volte più forte almeno di quello di Amatrice ed a dirlo sono gli scienziati ovviamente, ma anche la storia: non serve essere geologi per sapere cosa si aspetta al largo delle coste della Sicilia orientale e cosa riserverà, se non si interviene in tempo, il sisma ad una delle terre più belle d’Europa e del mondo.

La storia, nel suo tentativo di salvare gli uomini delle presenti e delle future generazioni, pone sul piatto una data: 11 gennaio 1693. Dopo il sisma che ha colpito Creta nel 365 d.C. (con magnitudo superiore all’ottavo grado), in quel giorno avviene l’evento più forte che ha mai colpito il Mediterraneo; con un’intensità pari a 7.4 gradi Richter, il terremoto coglie di sorpresa l’intera Sicilia orientale provocando qualcosa come sessantamila vittime, con i danni resi ancora più gravi anche da un’onda di tsunami. Se si pensa che la devastazione di Amatrice è stata provocata da un sisma di 6.0 gradi Richter, si immagini in Sicilia cosa può aver rappresentato in quel giorno un terremoto di quell’intensità; e si immagini allora, senza l’ausilio di esperti ma con la sola forza della storia, cosa può rappresentare oggi un terremoto del genere nell’isola. Sì perché i terremoti, prima o poi, si ripetono; il sisma del 1693 è il ‘gemello’ di quello del 4 febbraio 1169: anche in quel caso Catania, che in quel giorno era alle prese con uno dei primi festeggiamenti in onore di Sant’Agata, ha visto i 2/3 della sua popolazione perire sotto le macerie, proprio come nel 1693. Stessa sorte, in tutti e due i terremoti, è toccata ad Augusta, Siracusa, Modica e gran parte delle città della Sicilia orientale, da Acireale fino a Comiso. Il sisma si ripete, le faglie sono le stesse e prima o poi rigetteranno sotto forma di tremore tutta l’energia accumulata per secoli; inutile nasconderlo sotto una superstizione che cela in realtà la paura generata dal sapere di non aver fatto nulla in tutti questi anni: prima o poi il terremoto del 1693 si ripeterà, potrebbe essere fra 100 anni, così come fra 50 anni o 5 anni, ma una magnitudo superiore al settimo grado Richter in quelle zone della Sicilia tornerà a farsi sentire.

Negli anni 80 in Prefettura a Catania era arrivato anche un esperto a coordinare tutte le valutazioni sul rischio sismico della città, sulla scia della tragedia occorsa in Irpinia: “In caso di scossa anche la Prefettura crolla, nulla qui appare al sicuro” aveva dichiarato quell’esperto, l’unica reazione in quel caso è stata rappresentata dal fare i dovuti scongiuri. Nelle scorse ore, il Ministro Delrio (in città per una visita programmata da tempo) ha affermato di essere preoccupato per il fatto che l’80% delle scuole catanesi non sono a norma e che il governo si preoccuperà di questo tema a breve; ma in realtà il problema è ancora ben più grande: nel 1693 il sisma ha fatto sessantamila vittime, oggi questo territorio ha il triplo degli abitanti di allora ed al suo interno vi sono opere delicate tanto per gli stessi residenti quanto per l’ambiente. Tra petrolchimici ed altri tipi di impianti di questo genere, posti tra Augusta e Priolo, ben si comprende come è urgente in questa zona della Sicilia andare a regolamentare tutta una serie di situazioni; secondo molti, l’esistenza di un’opera come il petrolchimico, in un’area in cui il sisma può scavalcare il settimo grado della scala Richter, è incompatibile e già 1990, con un sisma che ha ‘picchiato’ il siracusano con una magnitudo di 5.7 gradi, si è temuto il peggio. Proprio quel terremoto, avvenuto il 13 dicembre di quell’anno (provocando 17 morti a Carlentini), ha riacceso i dibattiti sul rischio che corre la Sicilia orientale: “Questo qui è un terremotino” ha tuonato Franco Barberi l’anno dopo, alludendo proprio al fatto che quanto accaduto nel giorno di Santa Lucia del 1990 è niente rispetto a quello che si aspetta.

Altro che ‘casa Italia’ o semplice rispetto delle normative; qui nemmeno le attuali leggi, nate dalle esperienze dei terremoti dell’Appennino (disastrosi, ma molto meno intensi di quelli attesi in Sicilia), potrebbero essere adeguate ad una situazione del genere in cui un territorio densamente popolato e ricco di storia e monumenti potrebbe trasformarsi in una vera bomba ad orologeria.

La natura sta concedendo tempo, che bisogna assolutamente sfruttare ed ecco perché è così importante ricordare ciò che la storia ci ha tramandato; il sisma atteso nella Sicilia orientale, che sarebbe avvertito anche a Malta e nell’Adriatico, ha tempi di ritorno compresi tra i 300 ed i 400 anni: impossibile sapere in che giorno colpirà, ma si sa per certo che colpirà. E’ bene quindi considerare come vera e propria emergenza l’adeguamento di strutture ed opere delicate e vitali in questa zona della Sicilia, è bene pensare già da adesso allo scenario che potrebbe presentarsi quando le faglie a largo di Augusta rilasceranno nuovamente la tanta energia che hanno accumulato in questi tre secoli.

Il sisma di Amatrice impone questo tipo di considerazioni, da non affrontare più con ignavia e superstizione; con un pizzico di conoscenza in più, si deve notare anche che quello dell’Irpinia, con il suo 6.9 di magnitudo nel 1980, risulta essere l’ultimo grande terremoto italiano: Umbria, L’Aquila, Molise, Emilia ed adesso l’alto Lazio sono sì eventi forti ed intensi, ma molto minori rispetto al ‘potenziale’ sismico del nostro paese. Appare evidente quindi, che il rischio di un evento molto forte non è remoto, specie in questo angolo di Sicilia: si agisca in fretta, perché se il terremoto non può essere evitato, di sicuro il peggio da esso causato invece può quanto meno essere mitigato.

Gli episodi avvenuti l’11 gennaio 1693, così come il 4 febbraio 1169, oppure ancora nel febbraio 1542, insegnano ed avvisano: l’uomo del 2016, che dalle nostre latitudini si definisce ‘moderno’, è in grado di recepire queste urla strigliate dalla storia?

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