In Italia la furia del nuovo coronavirus si è concentrata in Lombardia, per lo più a Bergamo e in tutta la provincia circostante. Scendendo nel dettaglio, a pagare un prezzo particolarmente alto è stato ogni centro per anziani distribuito in quel territorio.
Come spiega Il Corriere della Sera, la situazione all'interno di queste strutture era (ed è) critica già all'inizio dell'epidemia di Covid-19 che di lì a poco avrebbe stravolto il Paese intero. Facciamo un passo indietro: a marzo le case di riposo bergamasche devono già fare i conti con 600 decessi. Gli ospiti che non sono riusciti a sconfiggere il virus ammontano al 30% del totale: numeri pazzeschi, eppure non ascoltati.
Il 23 febbraio, quando il Covid-19 arriva ad Alzano, le strutture per anziani entrano in allarme, capiscono in anticipo la gravità della situazione e adottano misure d'emergenza. Come la chiusura dei centri diurni integrati, dove le famiglie lasciano gli anziani soltanto per poche ore al giorno.
La disposizione è ottima, considerando la logica del distanziamento sociale. Il problema è che un provvedimento del genere non è ancora previsto. E così l'Ats (Agenzia di Tutela della Salute) impone la riapertura, con la minaccia di ritirare l'accreditamento agli eventuali centri disobbedienti. Alla fine la sospensione dei centri diurni integrati scatterà soltanto due settimane dopo.
Le case di riposo e le disposizioni dell'Ats
Quanto appena raccontato è l'esempio emblematico di quanto tempo prezioso sia stato gettato alle spine. L'esempio della Casa ospitale Aresi di Brignano è ancora più emblematico. Il presidente Marco Ferraro, non appena vengono segnalati i primi casi a Codogno, decide di chiudere il servizio del centro diurno a partire dal 23 febbraio.
“Poi ci è arrivata la nota dell’Ats - ha raccontato Ferraro - che diceva di tenere aperto, altrimenti avremmo rischiato di perdere la contrattualizzazione per interruzione di pubblico servizi”. Così si spiega il ritardo nella sospensione effettiva del servizio. “È brutto doversi attenere a disposizioni di organi superiori anche se non si capiscono. Forse bisognerebbe ascoltare di più chi vive direttamente le situazione”, ha concluso scoraggiato lo stesso Ferraro.
Una sensazione simile l'ha provata anche Maurizio Cansone, presidente della Fondazione Vaglietti di Cologno. “Già a fine febbraio – ha dichiarato - volevamo sospendere il servizio. Le comunicazioni dell’Ats però erano chiare, il centro diurno integrato non poteva essere chiuso a meno di una giusta causa e il Covid non era tra queste”.
L'Ats aveva trasmesso alcune disposizioni lo scorso 24 febbraio ma nella lista non venivano menzionate le strutture socio-assistenziali, le quali dovevano restare in funzione seppur con un accesso “condizionato all’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale”. Pochi giorni dopo, il 29 febbraio, Cesare Maffeis, presidente dell'Associazione case di riposo bergamasche, ha scritto all'Ats chiedendo di nuovo la chiusura: “La nostra richiesta è stata presa in considerazione e immediatamente girata in Regione, dove è stata respinta. A quel punto l’Ats si è attenuta alle regole e anche noi”.
“Con il senno di poi – conclude Maffeis -avremmo dovuto ignorare
quelle disposizioni e chiudere tutto. I centri diurni con il loro via vai sono stati una concausa del contagio. Abbiamo visto quel che è successo”. Nei prossimi giorni è attesa la replica dell'Ats.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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