Coronavirus

La birra, i sintomi, il contagio. Le "fake news" sul Coronavirus

Lo scienziato Alberto Mantovani esclude che si possa produrre un vaccino del Coronavirus in poco tempo. Fare una diagnosi rapida è fondamentale

La birra, i sintomi, il contagio. Le "fake news" sul Coronavirus

Il Coronavirus rappresenta un pericolo. E mentre il mondo si concentra per trovare in tempi brevi un vaccino, le grandi multinazionali si fanno avanti per contribuire con il loro know-how alla ricerca. Ma quanto tempo occorre per produrre un vaccino? Il Corriere della Sera lo ha chiesto ad Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’Istituto Humanitas di Milano e docente all’Humanitas University. Al momento, la prima linea di difesa nei confronti di questa emergenza che sta diventando globale, è la diagnostica: cioè la possibilità di intercettare l’infezione in tempi rapidi con test a basso costo. E di conseguenza la possibilità di mettere in atto tutte le misure di contenimento disponibili per consentire l’isolamento dei malati infetti e impedire il contagio.

È quello che sta avvenendo nel nostro Paese e in tutto il mondo Occidentale. Il problema più grande riguarda però i Paesi che non hanno un sistema sanitario efficiente. La vera preoccupazione è rappresentata, dalle aree povere, dall’Africa innanzitutto, dove la mancanza di infrastrutture sanitarie è una seria minaccia al diffondersi su larga scala dell’infezione.

Per quanto riguarda la ricerca, dobbiamo dire che ci sono antivirali utilizzati in infezioni da altri virus con successo, ma occorre tempo per testarli anche sul nuovo virus. A studiare soluzioni contro il Coronavirus non c’è solo l’industria dei farmaci, ma ci sono anche ricercatori indipendenti. In Germania, per esempio, un gruppo, guidato da Rolf Hingelfeld, da tempo si occupa di Sars ha portato avanti studi sulla struttura di questi virus e sta identificando alcuni composti in grado di agire su un enzima, la proteasi, che è una proteina virale capace di interferire con la replicazione dei virus e che può essere bloccata dai farmaci. La scoperta poi del prestigioso Doherty Institute dell’università di Melbourne offre nuove speranze. L’istituto ha fatto crescere il coronavirus in una coltura diversa da quelle avviate in Cina: ciò consentirà di sviluppare, oltre che una soluzione medica, un test anticorpale in grado di individuare il patogeno anche nei soggetti asintomatici, durante il periodo di incubazione.

Ma per un vaccino occorre tempo. Qualcuno afferma che per mettere appunto una cura ci vogliono pochi mesi, ma non è così. Mantovani fa sapere che in poco tempo è impossibile, perché costruire un vaccino richiede molta ricerca. Ma proviamo a dare qualche consiglio per difenderci. Sappiamo, ad esempio, che la malattia si manifesta attraverso i tipici sintomi influenzali. Mal di gola, tosse, febbre alta. Sono le spie che consentono ai medici di diagnosticare la patologia e intervenire, con un margine di successo pari al 97%.

L’epidemia è anche, troppo spesso, sinonimo di fake news. E il mondo ne è pieno. Facebook ieri ha comunicato che cancellerà tutti i post capaci di diffondere inutili allarmismi. Perché le bufale sul Coronavirus si stanno moltiplicando, così come la malattia. Ha iniziato il Washington Times parlando di una guerra batteriologica concepita in un laboratorio segreto di Wuhan. Le notizie si sono accavallate disordinatamente. L’ospedale da mille posti per curare i malati nella città cinese dalla quale si è diffuso il virus, sarebbe poi stato costruito in sedici ore. Niente di vero. Gli americani hanno giurato sui poteri miracolosi della “miracle mineral solution”, una semplice candeggina che tuttavia non solo non guarisce i pazienti, ma rischia di ucciderli.

In Italia invece è stato conferito potere immenso al paracetamolo che sarebbe in grado di contrastare efficacemente il virus al pari di un vaccino. Una bugia, anche questa, naturalmente. Le ricerche effettuate dal pubblico su Internet in questi giorni riguardano anche il “beer virus”. I disinformati hanno capito che il virus ha a che fare con la birra. I Paesi in cui corona beer virus ha avuto più ricerche sono stati Cambogia, Slovenia, Singapore, Nuova Zelanda ed Emirati Arabi Uniti. C’è da sapere che la birra tanto amata in tutto il mondo non c’entra niente con la nuova Sars.

Un motivo in più per berci sopra.

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