Meno male che ci sei tu, Catherine. Che corri, sudi, lavori, ti impegni e accudisci i figli tuoi e i figli malati degli altri. Tu che a volte, stanca, pensi quasi con pudico rimorso a come rosicchiare qua e là attimi di vita pur di trovare il tempo magico per allenarti e dedicare qualcosa solo a te stessa. Non sempre, ogni tanto, è sufficiente, fai bene, non sentirti in colpa, giusto così.
Meno male, Catherine, che il buon senso di cui sono spesso prive le molte stanze di questo Paese bischero, stavolta è tutto dentro di te. Tu madre e atleta che hai avuto la forza dolorosa di rinunciare, non importa se costretta dagli eventi o per provocare, sempre forza ci vuole, al sogno grande di partecipare ai mondiali di atletica, a Doha, in settembre, la maratona tua specialità, tu maratoneta nella vita e nello sport. «Per inderogabili impegni lavorativi» hai scritto «onoratissima di vestire la maglia azzurra ma, ahimè, la coperta in ospedale è sempre più corta...» e manca il personale in corsia.
Meno male che un giorno di settembre, mentre a Doha sfileranno le maglie d'Italia pronte a gareggiare, nel pronto soccorso pediatrico di Aosta ci sarai tu, la dottoressa Catherine Bertone. Magari incazzata, magari triste, ma quel ragazzino ferito o la mamma col pancione non troveranno solo una pediatra ma una maratoneta del lavoro. Meglio questa medaglia, dai retta.
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