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La corsa a ostacoli di Draghi verso il Colle

Via al risiko nei partiti. E c'è chi parla di Mattarella bis. Franceschini "Non sappiamo che pesci prendere, è un caos".

La corsa a ostacoli di Draghi verso il Colle

L'altro ieri, mercoledì pomeriggio, a Palazzo Madama, in uno dei corridoi che costeggiano l'aula che lavora lentamente, l'ex presidente del Senato, Renato Schifani, uomo di esperienza, attento osservatore di ciò che avviene nelle segrete stanze, ti rivolge a bruciapelo questa domanda: «Ma quanto dura questo governo?». Poi, come corollario, introduce un tema che comincia a tenere sempre più banco nel Palazzo, anche perché mancano appena dieci mesi all'appuntamento, quello dell'elezione del nuovo Capo dello Stato. Roba seria: perché se i governi cambiano, il contratto di locazione del Quirinale dura sette anni e, c'è poco da fare, demarca le stagioni della politica. «Quando Draghi spiega Schifani introducendo l'argomento - avrà fatto approvare tutte le leggi delega da qui al gennaio del prossimo anno e ci riuscirà non credo proprio che gli convenga farsi rosolare per un altro anno a Palazzo Chigi. Anche perché non c'è posto migliore del Quirinale per garantire l'attuazione del suo Piano. I decreti attuativi li farà il governo successivo che, con lui sul Colle e l'Europa che guarda, non potrà cambiare nulla. E se lui andrà al Quirinale e credo proprio che sia il suo obiettivo - noi punteremo alle elezioni, anche perché per Salvini, ma non solo, è difficile andare avanti così. L'altra ipotesi è una proroga del mandato di Mattarella, ma francamente la vedo difficile».

Uno può far finta di niente, nello stile del politicamente corretto visto che Mattarella è ancora in carica, ma le grandi manovre sono cominciate. Eccome. E neppure più tanto sottotraccia. Nei discorsi che accompagnano le riforme i protagonisti della maggioranza extralarge di Draghi già ne parlano. C'è uno dei candidati d'ufficio all'alto soglio che negli incontri riservati si arrovella su quale sarà la rosa del Pd. Un altro che spiega a Salvini: «Tu devi avere solo una bussola nella scelta del prossimo capo dello Stato, devi appoggiare qualcuno che, se vincerai le elezioni nel 2023, non avrà problemi a darti il mandato per formare un governo». Un altro degli attori che decideranno l'esito della corsa, invece, scommette sul fatto che questa volta il partito di Enrico Letta, che da trent'anni è il king maker della corsa al Colle, conterà molto meno: i suoi candidati, da Prodi a Franceschini, allo stesso Conte, che tra le tante coltiva anche questa ambizione, secondo la calcolatrice del Palazzo non hanno abbastanza voti. «In tutta questa confusione ha confessato Dario Franceschini ad un vecchio amico calabrese non sappiamo che pesci prendere».

Congetture, disquisizioni. Di certo, però, nell'ingrato ruolo della lepre si è ritrovato proprio Mario Draghi, anche se l'interessato tenta in tutti i modi di scrollarselo di dosso per le tante insidie che nasconde. Dalle parti di Palazzo Chigi, infatti, le frasi di rito sul tema sono quelle di repertorio: «Il Presidente è impegnato sulle emergenze del Paese, non pensa ad altro»; «Il Presidente è completamente disinteressato al tema». Sarà, ma se uno si va a rivedere le espressioni di Carlo Azeglio Ciampi nei mesi che precedettero la sua elezione al Colle, erano dello stesso tenore: lo stile di Bankitalia non è acqua. Non per nulla il sottosegretario alla presidenza del Consiglio per l'Editoria, Giuseppe Moles, ligio alla vulgata ufficiale, spiega: «Vedo Mario troppo preso nel ruolo che ricopre. Qui l'ipotesi più semplice è una proroga di due anni a Mattarella».

Solo che gli abitanti del Palazzo sono attenti a tutte le vibrazioni. Anche chi ha poca dimestichezza, chi è arrivato da poco, come i 5 Stelle, ha drizzato le antenne nella paura che il cambio al Quirinale sia propedeutico alle urne: questo è il loro terrore. «Draghi confida Gianluca Castaldi, ex sottosegretario ai rapporti con il Parlamento del governo Conte vuole andare al Quirinale. Questo lo abbiamo capito tutti. Ma se fossi in lui mollerei prima di cimentarmi nella prossima legge di Bilancio, dando la patata bollente del governo a qualcun altro, perché questo Parlamento è capace di mangiarsi pure Gesù Cristo».

Ecco, nel loro dilettantismo politico, i grillini hanno annusato l'aria e il pericolo. I dati sono semplici: Draghi vorrebbe andare al Colle; solo che per riuscirci deve creare la situazione per cui tre quarti del Parlamento non lo ostacoli per paura che il suo trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale apra la strada per le urne che molti non vogliono, visto che le prossime Camere avranno meno seggi in ballo. Senza contare che, quando si sceglierà il nuovo presidente, i parlamentari di prima nomina la questione potrà anche essere considerata prosaica, ma pesa non avranno ancora maturato la pensione, o, perlomeno, per averla, dovranno fare dei versamenti integrativi di tasca loro tutt'altro che trascurabili. Per cui sulla strada dell'«operazione Draghi» c'è il problema di convincere la maggioranza delle forze politiche, o, meglio, i loro parlamentari ad accettare il rischio elettorale (ma, come si sa, ai tacchini non piace il Natale); oppure, l'attuale premier dovrà dare la garanzia che ci sarà una successione indolore a Palazzo Chigi, che assicuri a tutti un altro anno di legislatura.

Proprio per tutte queste difficoltà, tra i giocatori di primo piano c'è chi è convinto che la partita del Quirinale sia tutta da giocare. «Non credo che si arriverà a Draghi dice uno di loro nel gioco abbastanza centrale perché in Parlamento nessuno vuole le urne. E anche l'ipotesi di una proroga di Mattarella la vedo difficile. La verità è che se il centrodestra si ritrovasse unito, dopo trent'anni, per la prima volta, potrebbe dire la sua. L'ultimo presidente eletto dall'area moderata, dalla Democrazia cristiana, fu Scalfaro. Da allora con Ciampi, Napolitano, Mattarella il centrodestra è sempre stato aggiuntivo o non ha contribuito all'elezione. Questa volta però il Pd partirà da una base di appena 140 voti, per cui se Salvini riuscirà a tenere i 450 voti di base che avrà a disposizione, il centrodestra potrebbe davvero dare le carte. Sbaglierebbe, però, a mandare Draghi nella speranza di assicurarsi le urne. Perché in quel caso neppure molti dei suoi lo seguirebbero. Né gli basterebbe un accordo per andare alle elezioni con Letta, perché molti parlamentari Pd non lo accetterebbero ugualmente.

E seppure gli riuscisse, chi gli assicura che Draghi gli darebbe l'incarico? Mattarella docet».

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