Così crolla la grande bellezza d'Italia

Vantiamo un patrimonio artistico da record, ma non lo facciamo fruttare. Anzi, lo roviniamo. La mappa del degrado

Così crolla la grande bellezza d'Italia

Lo scempio si vede meglio viaggiando a piedi. Nessun finestrino di un'automobile può svelare i fori nella recinzione degli scavi archeologici della Sicilia sudorientale, la gramigna che avvolge come una ragnatela un palazzo dei Savoia nel parco di Villa Ada, a Roma. Sono le infinite bellezze trascurate, di cui qualche volta si prendono cura ignoti custodi a titolo volontario: un agricoltore che cura una piramide etrusca nel Viterbese, un allevatore che vigilava sulla reggia borbonica di Carditello. L'Italia che vuole ripartire dalla scuola e dalla cultura, come dice il governo, e che cerca risorse, nasconde, continua a dimenticare, a lasciare alla distruzione, una parte immensa di un patrimonio artistico unico al mondo. Con 50 siti dell'Unesco, l'Italia produce dalle sue ricchezze un Pil inferiore al 2 per cento, meno di 40 miliardi di euro. Duecentodue musei a pagamento e 221 siti archeologici fruttano all'Italia l'incasso del solo Louvre in Francia (circa cento milioni di euro). Secondo differenti stime queste entrate potrebbero essere almeno triplicate, guardando semplicemente alle altre Nazioni europee: alla Gran Bretagna il patrimonio artistico porta più del doppio dell'Italia, 78 miliardi di euro. Un'immersione nella rovina della bellezza dimenticata racconta di perle di storia infinitamente preziose e infinitamente abbandonate, vegliate da uomini senza gloria.

Il nostro viaggio parte in forma di raggiera da Roma, il centro e l'emblema. Si pensa di riutilizzare il Colosseo come in passato, con spettacoli all'aperto, ma intanto le Mura aureliane e la via Appia in molti tratti sono in grande sofferenza. Lungo la linea dell'Acquedotto romano in via del Mandrione, sono state costruite decine di case incastonate negli archi romani. A Porta Maggiore, le vibrazioni dei tram che passano sotto le arcate hanno provocato lo spostamento degli stipiti. Qualcuno ogni tanto si fa la doccia con il bagnoschiuma in una fonte naturale, descritta da Plinio il Vecchio come un «dono agli uomini degli dei». Verso nord, lungo via Salaria, nel grande Parco di Villa Ada, camminando tra i prati ben tagliati ci si imbatte in due grandi edifici su cui la vegetazione è riuscita ad arrampicarsi fino al tetto. Sbirciando tra le travi accatastate di una vecchia recinzione spunta lo stemma dei Savoia: erano le antiche scuderie della Casa reale, due palazzi che potrebbero diventare sedi di musei o biblioteche ridotte a latrine. Ma non c'è solo Roma: tutto il Lazio è una grande terra di dimenticanza. Nel Viterbese, in un bosco di faggi vicino alla torre pentagonale di Chia, dove abitò Pier Paolo Pasolini, si staglia una piramide etrusca di circa 12 metri di altezza. È incredibilmente simile alle piramidi tagliate dei Maya in Messico. Dalla sommità lo sguardo si perde lungo un fittissimo manto di alberi. La piramide era ricoperta di muschio e vegetazione, l'ha ripulita un agricoltore della zona, Salvatore Fosci. Si prende cura delle tombe di dimensioni enormi poco distanti, attribuibili ai leggendari Rinaldoniani, e soprattutto veglia la piramide: «Uno di questi giorni vado a rifare i gradini», racconta, come se parlasse di una scala condominiale.

CASE FANTASMA

Sempre a nord di Roma, ma nella zona del lago di Bracciano, l'abbandono è diventato motivo di fascino, anche se sconosciuto ai percorsi turistici. Su una collina di tufo si erge la città fantasma di Monterano, feudo innalzato su siti etruschi, abbandonata agli inizi del XIX secolo. La «città morta» si trova in una riserva naturale protetta, i restauri hanno aiutato il mantenimento del borgo, ma numerosi crolli e razzie hanno deturpato la facciata principale del Palazzo Ducale con la fontana del Leone del Bernini (ora il leone originale si trova nel municipio proprio per preservarlo), cartelli di divieto di accesso disseminano l'antico feudo e la chiesa di San Bonaventura, del tardo 1600, è completamente sventrata, con il tetto crollato. Nella parte centrale del borgo, in una tomba etrusca si possono vedere alcuni contenitori di plastica. Nemmeno Umbria e Toscana riescono a gestire al meglio i loro tesori. Il 18 gennaio Amelia ha ricordato il crollo delle mura ciclopiche avvenuto nove anni fa. Un restauro costato 4 milioni di euro alla Regione Umbria ha portato alla costruzione di «una giungla di tubi innocenti», denuncia Italia Nostra. Si può scoprire solo con un percorso a piedi, nella Val d'Orcia senese, tra Castiglione a Radicofani, il complesso medievale delle Briccole lungo la via Francigena. Nell'ospitale, una costruzione ormai cadente a due piani, si fermavano per la sosta i pellegrini di ogni rango, compresi i viandanti illustri, come Matilde di Canossa (nel 1079) e l'arcivescovo di Canterbury Sigerico. Abricula, il termine usato da Sigerico per descriverla, deriverebbe dal latino apricum, luogo assolato. Il borgo si trova in effetti in un punto di grande luce, accerchiato da un'estesissima cornice circolare delimitata dai crinali.

COME SANTIAGO

La chiesa di San Pellegrino, a navata unica con arco a tutto sesto, ha l'ingresso in parte coperto da erba selvatica. La strada sacra che conduceva al cuore della cristianità, la via Francigena dei pellegrini che taglia come una grande «zeta» l'Italia dalla Val d'Aosta a Roma, continua a rimanere un percorso per pochi. In Spagna il cammino di Santiago è frequentato ogni anno da circa 240mila persone, con un indotto di 200 milioni di euro. La via Francigena non conta più di 2mila visitatori e, in termini economici, porta all'Italia meno di un centesimo di quello che Santiago offre a Madrid.

Risalendo l'Italia, ancora verso nord. Sulle rive del Lago Maggiore, a Lesa, la monumentale villa settecentesca Cavallini con l'annesso parco ha i battenti chiusi. Doveva accogliere una scuola di agraria, ma ora è in disfacimento. Ancora più sconcertante è l'abbandono del borgo Leri Cavour, a Trino, in provincia di Vercelli, il buen retiro del conte Camillo Benso edificato accanto a una grangia medievale. Le stalle sono usate come immondezzai, dai fori nel muro si vedono ombrelli, persiane rotte e il complesso principale è stato spesso utilizzato per incursioni di partecipanti a giochi di ruolo: quel che resta del pavimento è stato ricoperto di munizioni di plastica.

Vale la pena tornare però a Roma per seguire la seconda direttrice verso i tesori dimenticati, obbiettivo sud. L'antica città di Norba, tra Sermoneta e Cori, costruita nel VII secolo avanti Cristo, è una terrazza naturale sul mare di templi, terme e una maestosa strada principale intatta, il promontorio del Circeo a sinistra, le isole pontine davanti. Mancano completamente indicazioni stradali, Norba compare per caso lungo la strada per Cori, invisibile per chi non sa. Nel carcere-anfiteatro dell'isola di Santo Stefano, che si trova proprio qui di fronte, esempio di struttura penitenziaria studiato in tutto il mondo sul modello del Panopticon, il tempo si è fermato dopo l'abbandono dei carcerati.

L'EX DELIZIA

Ancora a sud, verso Napoli, nelle terre borboniche. A metà strada tra Caserta e il capoluogo campano, la Reggia del Carditello, chiamata «Reale delizia», per decenni è stata sfregiata, sono stati danneggiati decori, sculture, arredi. Per due anni è stata sorvegliata a titolo volontario da Tommaso Cestrone, un allevatore di capre. Il custode morì per infarto la notte di Natale del 2013, di ritorno, come ogni giorno, dall'enorme palazzo neoclassico. A Napoli è un cantiere da quindici anni l'edificio più grande della città, Palazzo Fuga o Real Albergo dei Poveri, una delle più imponenti costruzioni settecentesche d'Europa, con 100mila metri quadri di superficie. Ha subito numerosi crolli, il più importante dopo il terremoto del 1980. Da quel periodo in un'ala abitano alcune famiglie abusive. I lavori di restauro, avviati nel 1999 sono avanzati tra impegno e infinite interruzioni per mancanza di finanziamenti, e un intero lotto completato, assegnato a una partecipata dal Comune, è ora inutilizzato dopo lo scioglimento della società. Scendendo ancora più a sud ci si addentra di nuovo nelle antiche civiltà. A Egnazia, un sito risalente addirittura al XV secolo a.C., in provincia di Brindisi, un lavoro di 13 anni condotto da 1.500 universitari e liceali ha consentito di riscoprire le antiche terme. Ma una parte degli scavi, denuncia ancora Italia Nostra, è stata dimenticata, con il risultato che accanto al parco archeologico sorge ora uno stabilimento balneare.

DAI CORINZI AI BARCONI

C'è poi la Sicilia, con il suo immenso patrimonio che sgorga a ogni angolo, spesso ignoto ai turisti e agli stessi siciliani. In provincia di Siracusa Eloro, il sito archeologico alle pendici di Noto, fondato dai Corinzi nel VII secolo avanti Cristo, ora punto di osservazione sugli sbarchi di immigrati a Capo Passero, è protetto da una debole recinzione lacerata in più punti. Le rovine non sono custodite.

Solo la coscienza di chi lo visita impedisce che i reperti siano portati via. Risalendo il mare dalla punta sud in direzione ovest, a Kamarina, nelle terre di Montalbano, lo sgretolamento della costa mette a rischio l'insediamento ellenico.

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