Così le toghe hanno aperto la via a Grillo

Dall'assoluzione di Cota fino all'innocenza di Marino: le inchieste flop però hanno cambiato la politica

Così le toghe hanno aperto la via a Grillo

Ma davvero i giudici italiani sono convinti che se andassero al potere i grillini resisterebbero all'eterno istinto di ogni potere, alla tentazione di ogni maggioranza dell'ultimo quarto di secolo, da Craxi fino a Renzi, di mettere loro la mordacchia? Davvero pensano che con Di Maio premier e un qualche neolaureato di Pinerolo o Ostuni ministro della Giustizia verrebbe loro concesso di esercitare senza confini il loro potere? La domanda è inevitabile, perché altrimenti non si spiega la pervicacia con cui, da nord a sud, si accrocchiano inchieste sulla malapolitica che poi si sgretolano appena arrivate davanti a un tribunale, ma che intanto hanno gettato altre palate di fango su questo o quel settore della Casta, aprendo ulteriori strade alla già straripante avanzata grillina. Le assoluzioni per gli «scontrini facili» dell'ex governatore piemontese Roberto Cota e dell'ex sindaco di Roma Ignazio Marino fanno parte in pieno di questa sindrome demolitoria. Davanti al malcostume dei rimborsi spese ingiustificati le Procure invece di fare il loro lavoro, ovvero discernere caso per caso e persona per persona, hanno proceduto ad iscrizioni in massa nel registro degli indagati, con due effetti inevitabili: gonfiare a dismisura l'eco dello scandalo, e approdare, a distanza di due o tre anni dai fatti, a valanghe di assoluzioni. Più della metà dei politici indagati per questa accusa (lo calcola ieri il sito di Repubblica, difficilmente sospettabile di essere prevenuto nei confronti dei pm) sono stati assolti. È chiaro che un dato simile non può essere liquidato col ritornello della dialettica processuale, secondo la quale se il pm incrimina (e magari pure arresta) e poi il giudice assolve allora va tutto bene perché vuol dire che il sistema funziona, e amen per chi intanto ci ha lasciato le penne. Delle conseguenze che ha sulla vita delle persone questa spensieratezza dell'azione penale si parla da anni: ma ora si dovrebbe parlare anche delle conseguenze sulla vita politica del Paese. E i magistrati con una coscienza civile (che sono tanti) dovrebbero interrogarsi sui danni che questa sorta di Magistratopoli può arrecare agli equilibri democratici.

Perché giustificare come «atto dovuto» l'iscrizione di 116 persone per associazione mafiosa per la vicenda di Roma capitale, liquefatta alla fine delle indagini, è uno strafalcione giuridico, comprensibile solo alla luce della convinzione che aprire la strada ai grillini sarà foriero per la magistratura italiana di una nuova stagione di libertà. Auguri. Ma attenti: quelli, come si è visto, hanno la lista di proscrizione facile.

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