Coronavirus

La verità dietro lo spauracchio varianti

Dall'inizio della pandemia sono comparse le varianti inglese, brasiliana, sudafricana e ora indiana. Scienziati positivi: "I vaccini funzioneranno"

La verità dietro lo spauracchio varianti

Ogni giorno una variante nuova. Più o meno aggressiva. Più o meno mortale. Prima quella inglese, poi la brasiliana, infine la sudafricana e ora l’indiana. Continente che vai, spauracchio che trovi. Da mesi il ritornello è più o meno sempre lo stesso: ci sono le mutazioni, emerge la paura, il timore di nuove chiusure. Ma sono davvero così pericolose?

La risposta è: boh. Nel senso che certo potrebbe nascere una variante più pericolosa, letale, diffusiva. Ma per ora ogni qual volta l’allarme è apparso sulle pagine dei giornali, è poi stato ridimensionato da più di un esperto (non tutti, va detto) e pare che i vaccini attualmente disponibili riescano a fare il loro dovere anche di fronte al camaleontico virus.

Una “variante” non è altro che una mutazione della proteina spike di Sars-CoV-2 che permette al virus di penetrare nelle cellule ed eventualmente fare i danni che conosciamo. Come spiega Elena Azzolini, direttore medico sanitario dell’Humanitas sul sito istituzionale dell’ospedale, la variante inglese corre più velocemente e “si ipotizza anche abbia una maggiore patogenicità”. Quella sudafricana invece “ha una trasmissibilità più elevata” e lo stesso dicasi per quella brasiliana. L’ultima arrivata si chiama variante indiana, anche se - spiega Giovanni Maga, direttore dell’istituto di genetico molecolare del Cnr, “non è nuova”: “Per la prima volta è stata depositata dal registro che raccoglie i sequenziamenti del Sars-CoV-2 nell’ottobre del 2020 - dice al Corriere - Poi è comparsa altrove ma non rappresenta una preoccupazione. Non sembra possedere le caratteristiche per scalzare i ceppi già circolanti”.

Arriviamo allora ai vaccini. Sul sito dell’Iss viene posta una faq importante: farmaci e sieri funzionano anche contro le varianti? La risposta è ambigua, perché certezze granitiche al momento non ce ne sono. “Diversi studi sono in corso nel mondo per rispondere a questa domanda. Al momento i vaccini sembrano essere pienamente efficaci sulla variante inglese, mentre per quella sudafricana e quella brasiliana potrebbe esserci una diminuzione nell’efficacia”. La Fondazione Veronesi, però, un mesetto fa si mostrava più positiva citando uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine: “Dalle analisi - si legge - è emerso che, seppur con alcune variazioni nella capacità neutralizzante, gli anticorpi indotti dal vaccino sono in grado di bloccare le varianti inglese, sudafricana e brasiliana. A questa ottima notizia si deve aggiungere quella relativa alla mantenuta capacità di neutralizzazione da parte del vaccino Moderna e Janssen. AstraZeneca è risultato anch'esso utile, soprattutto per la variante inglese, la più diffusa in Europa. Unico neo, relativo a quest'ultimo vaccino, è la parziale perdita di potere neutralizzante contro la variante sudafricana”.

Questo cosa significa? Che per il momento, come diceva l’immunologo Alberto Mantovani, “non dobbiamo fasciarci la testa”. I vaccini a mRna (Pfizer e Moderna) possono essere adattati dalle aziende produttrici al fine di renderli efficaci contro le nuove varianti. L’importante è tenere l’attenzione alta. E probabilmente, sottolinea Mantovani, dovremo fare il richiamo anche nei prossimi anni come avviene per l’influenza”. Sulla variante indiana, nonostante i timori del prof Massimo Galli (“preoccupa parecchio”), il professor Maga è positivo: “In uno studio in preprint, vale a dire non ancora pubblicato su una rivista scientifica, un gruppo di ricercatori indiani dimostra l’efficacia del vaccino Covaxin, prodotto localmente, contro il nuovo virus - spiega - I vaccini utilizzati in Ue e in Italia sono più efficaci del Covaxin quindi dovremmo sentirci tranquilli se la variante avesse il sopravvento". E lo stesso ribadisce Valentina Marino, direttrice medica di Pfizer Italia: “Sulle varianti la copertura è assicurata per quella inglese e sudafricana”, e sebbene “nessun dato ci sia ancora sulla variante indiana”, questa “è simile alle altre mutazioni, e questo ci fa ben sperare”. Come a dire: attenzione alta, molta prudenza, ma niente panico.

Almeno per ora.

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