Coronavirus

Ecco la super-proteina che ferma il Covid

Notch4 rappresenta un possibile bersaglio terapeutico per contrastare l’infiammazione polmonare provocata non solo dal Covid-19, ma anche da tutti i virus in grado di attaccare questo tessuto

Ecco la super-proteina che ferma il Covid

Più passa il tempo e più il Covid viene messo alle strette: eliminando una proteina presente in alcune cellule immunitarie dei polmoni chiamata Notch4, si può prevenire l’aggravamento dei sintomi nei pazienti affetti da Sars-Cov-2.

Cosa dice lo studio

I risultati arrivano da uno studio internazionale da poco pubblicato sulla rivista Immunity e coordinato dal prof. Raffaele De Palma, immunologo dell’Ospedale Policlinico San Martino, dell’Università degli Studi di Genova e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) di Pozzuoli, e dal prof. Talal Chatila dell’Università di Harvard. Una caratteristica fondamentale del Covid-19 è l'infiammazione polmonare e l'insufficienza respiratoria ed "abbiamo scoperto che l'aumento dell'espressione di Notch4 sulle cellule T regolatorie circolanti (Treg) era associato alla gravità della malattia, alla mortalità prevista e diminuiva al momento del recupero. L'eliminazione di Notch4 nelle cellule Treg o la terapia con anticorpi anti-Notch4 in topi convenzionali e umanizzati ha normalizzato l'immunità innata disregolata e salvato morbilità e mortalità della malattia", scrivono i ricercatori. Bloccando questa proteina, tra l'altro, si bloccherebbe anche il virus influenzale H1N1.

Cos'è la proteina Notch4

Insomma, Notch4 rappresenterebbe a questo punto un possibile bersaglio terapeutico per contrastare l’infiammazione polmonare provocata non solo dal Covid-19, ma anche da tutti i virus in grado di attaccare questo tessuto. Ma di cosa si tratta esattamente? "È un punto di attacco dell'infiammazione ed è implicato non soltanto nelle infezioni ma anche nei tumori, è la proteina che viene espressa sulle cellule del sistema immunitario, in particolare le cellule T, che sono correlate con diverse attività di tipo immunitario ma anche di gestione della riparazione cellulare", ha affermato in esclusiva per ilgiornale.it Francesco Blasi, Professore ordinario di Malattie respiratorie dell'Università di Milano e Direttore Uo pneumologia Irccs fondazione Cà Granda del Policlinico di Milano. Blasi ci ha spiegato che il lavoro dei colleghi italiani è andato a vedere l'effetto sulle cellule Treg, quelle cioé che mediano la riparazione tessutale. "Il dato di questo lavoro è legato sia all'infezione da Sars-Cov-2 che all'influenza, i due virus più importanti. Questa proteina è attivata dal virus e induce infiammazione perché inibisce l'attività di queste cellule che cercano di mediare la risposta infiammatoria".

Perché fermarla e come

Notch4 è quindi una proteina che va ad inibire l'attività delle cellule che moderano l'infiammazione creando i problemi che ormai ben conosciamo. "Per quello che sappiamo, uno studio genetico ha individuato due target fondamentali per l'infezione da Coronavirus ed uno è proprio quello sulla parte infiammatoria, in particolare sulla temochine, modulatori infiammatori e l'altro è sul gruppo sanguigno - aggiunge il Prof. Blasi - Una cosa importante è che sia a livello genetico che in questo caso esiste una condizione comune a Covid ed influenza, i virus sembrano agire attraverso meccanismi comuni. Il dato è interessante perché individua un potenziale target terapeutico che è l'inibizione dell'espressione di Notch4". In pratica, diverse interleuchine (proteine del sistema immunitario) pro-infiammatorie, che sono questi mediatori che usano le cellule, sono dei target per le terapie anti-Covid come nel caso dell'interleuchina 6 che coinvolge anche i neutrofili, una tipologia di globuli bianchi. "Abbiamo utilizzato farmaci che la inibivano come il tocilizumab perché l'interleuchina 6 agisce attraverso il Notch4 e l'espressione cellulare dipende dalla stimolazione di questa interleuchina: se io la inibisco, inibisco l'espressione di Notch4. Però, se si può agire direttamente sul Notch4 è meglio", aggiunge lo pneumologo.

Possibili approcci terapeutici

Anche se siamo ancora lontani dalla realizzazione di una cura ad hoc, quali scenari apre la scoperta su Notch4? "È tutto da vedere, sappiamo soltanto che possiamo costruire degli anticorpi monoclonali che vanno a bloccare l'attività infiammatoria. Per l'interleuchina 6 abbiamo usato dei farmaci che la bloccano o che bloccano il suo recettore, quindi possono agire su diversi punti. Dopodiché, non sappiamo cosa ne verrà fuori e quale tipo di terapia". Come ormai sappiamo, il Covid-19 è l'espressione di una malattia soprattutto polmonare ma quando si scatena l'infiammazione diventa anche sistemica perché coinvolge il cuore, il cervello, la cute ecc.: per questo motivo, l'approccio terapeutico dipende da quando si inizia a trattare il paziente. Gli attuali anticorpi monoclonali agiscono sulla proteina Spike espressa dal virus tant'è che si vanno utilizzati nelle fasi precoci post-infezione nei pazienti a rischio di sviluppare forme gravi della malattia. Il problema è l'infiammazione che segue: o si va sul virus andando sulla fase precoce o sull'infiammazione, che è l'espressione della malattia. "Se si va a bloccare il virus appena entra nel sistema respiratorio si potrebbe usare uno spay, per esempio; se invece si tratta di un'attività sistemica presa tardivamente, allora bisogna usare gli anticorpi monoclonali per via endovenosa così da raggiungere tutto l'organismo. Quello che sarà il futuro non lo sappiamo, dobbiamo vedere se si riesce intanto a costruire questo tipo di farmaco", ci dice il Prof. Blasi. La scienza va per step, bisogna individuare il target: una volta individutato, è plausibile agire con dei farmaci che possono stimolare o inibire a seconda di quello che si vuole ottenere. "L'interesse sul Notch4 non è soltanto per le infezioni virali ma sappiamo che è implicato anche in forme tumorali, come ad esempio quello della mammella o alcuni cutanei. È un target potenziale per diversi approcci".

"Ci siamo dimenticati dell'influenza..."

In questo studio, come anticipato all'inizio, si prendono in esame anche i miglioramenti che riguardano il virus dell'influenza: forse molti non ricordano che non sempre è banale. "L'influenza è gravata dalla complicanza della polmonite: con il Covid ci siamo dimenticati che l'influenza ha una sua mortalità importante specialmente in soggetti oltre i 70 anni con ricoveri ospedalieri e terapie intensive. Dipende poi se ci troviamo di fronte ad un'influenza stagionale oppure ad una pandemia influenzale: quando cambia il virus si possono avere epidemie in cui il virus non è conosciuto dalla popolazione", ci spiega il Prof. Blasi. Nell'ultimo caso, il numero di pazienti che finiscono in terapia intensiva aumenta: il virus H1N1 negli scorsi anni ha causato epidemie che hanno provocato un aumento di accessi in ospedale per polmonite virale che spesso si complica diventando polmonite batterica. "Anche il Sars-Cov-2, quando si finisce in intensiva, spesso si complica con un'infezione batterica perché i virus fanno così, è questo il loro mestiere. Diverse infezioni gravi virali hanno la complicanza dei batteri così come accade per l'influenza. Negli ultimi 10 anni, il rischio di avere una pandemia come per il Covid l'abbiamo scampato un paio di volte", sottolinea l'esperto.

Il vantaggio, in questo caso, è avere un vaccino che viene modificato ogni anno con la popolazione che presenta un livello di memoria immunologica che in parte protegge e normalmente protegge da un'eventuale esplosione. "Ma se dovesse arrivare un ceppo completamente nuovo ci troveremmo, probabilmente e potenzialmente, ad una situazione simile a quella che abbiamo avuto con il Coronavirus. Il vantaggio è che il Covid ha portato, dal punto di vista scientifico, ad un salto epocale sui vaccini, noi abbiamo avuto i vaccini in 8 mesi". In realtà, l'esperto conferma quanto noi già abbiamo scritto e ripetuto più volte, cioé che le piattaforme ad mRna erano già da tempo in preparazione sia per l'influenza che per i tumori, il sistema utilizzato era quasi pronto ed ha consentito questo salto di velocità che c'è stato. "I vaccini ad Rna sostituiranno, prima o dopo, quelli basati sugli adenovirus perché sono molto più efficienti ed hanno una rapidità nel seguire l'evoluzione del virus che altri non hanno".

Non a caso, infatti, l'Ue ha acquistato oltre 180 miliardi di vaccini Pfizer per i prossimi due anni, più che sufficienti a coprire l'intera popolazione con il famoso "richiamo" o terza dose che dir si voglia (746,4 milioni è la popolazione aggiornata al 2018).

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