La depressione è ormai un concetto logoro e abusato come gli auguri a Natale. Tutto ciò che era, un tempo, «stanchezza», sia pur mentale, è diventato prima «esaurimento», poi «stress», e ora depressione. Una bella depressione, insomma, non la si nega a nessuno, al calciatore che non fa gol come allo scolaro che non ha voglia di studiare.
Figurarsi se i ricercatori di sempre nuove malattie (e di scoop per far circolare i propri studi) potevano negare una depressione ai neopadri. Oltretutto, la rivoluzione a rovescio del politicamente corretto pretende che tutto ciò che riguarda le femmine riguardi anche i maschi, e viceversa. Scoperta e definita da non molti anni la depressione post parto materna, che è sempre esistita, come negarla ai padri?
Apprendiamo dunque, dalla lontana Australia, che della depressione post parto soffre lo 0,3 per cento in più dei padri rispetto alle madri. (Notare l’accuratezza scientifica di quello 0,3.) Lo studio della professoressa Jan Nicholson conduce a scoperte fulminanti: «La nascita di un bebè porta profondi cambiamenti di stile di vita e ricreazione, orari di sonno, rapporti di coppia e identità, ed è naturale che possano sorgere difficoltà di aggiustamento per i padri», scrive Nicholson, che tuttavia si dice sorpresa della portata del problema, anche se «Vi è un crescente riconoscimento che i padri sono un sostegno chiave per le novelle madri». Fino alla sorpresa finale: «Lo studio mostra che anche gli uomini sono vulnerabili, perché anche loro perdono sonno e si destreggiano fra ruoli e responsabilità».
La mia esperienza, per la verità è diversa. Potevo essere ansioso, teso, stufo, preoccupato - insomma, «depresso» - durante l’attesa: nonostante tutte le ecografie e gli esami non sai mai davvero se il figlio sarà sano, sarà tutto, sarà bello, e questa mi sembra la peggiore tensione che si possa sopportare. Poi, quando lo vedi sano, intero, bello, tutto il resto diventa marginale, quasi insignificante.
Supponiamo pure che io sia un caso strano. Però mi sembra che tutto ciò che segue il parto, per un padre, riguardi le categorie «preoccupazioni» e «rotture» più che quella «depressione». Preoccupazioni economiche, per esempio, perché scopri ogni giorno che un figlio - per quanto piccolo - costa molto più del previsto, che anche la più accorta delle madri d'improvviso non bada più a spese, e che il tuo orario e le tue capacità di lavoro vengono per forza ridotti dagli avvenimenti quotidiani. Le «rotture» non riguardano tanto - altro esempio - i pianti notturni e la conseguente perdita di sonno, che rientrano nella categoria «preoccupazioni», bensì la scoperta che nella tua vita entrano nuovi, e apparentemente assurdi, assilli: come «la corrente!». L’avevi dimenticata dall’infanzia, quando tua madre correva disperata da una porta a una finestra gridando «la corrente!» Pensavi che non l’avresti mai più sentita nominare per tutta la vita, sfidando spifferi e bufere. Invece eccola, «la corrente!», annunciata con la stessa disperazione di una piaga egiziana, temuta come una pugnalata alle spalle, odiata come un tradimento: anche se tu non senti un alito di vento, fra due finestre lontanissime in una giornata di aria immota.
Ecco cosa vorrei chiedere alla professoressa australiana: un bello studio, con tanto di zero virgola, sulle diversità - e la loro origine - dell’atteggiamento materno e paterno rispetto al problema «la corrente!».
www.giordanobrunoguerri.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.