"Dacci 110 mila euro entro 10 giorni": la richiesta della banca all'imprenditore

La denuncia dell'imprenditore palermitano Francesco Massaro che ha ricevuto una pec dalla Creval che gli intimava di rientrare da un debito di 110 mila euro

"Dacci 110 mila euro entro 10 giorni": la richiesta della banca all'imprenditore

Una lettera ricevuta in pieno lockdown. Con un avvertimento: o saldi il debito di 110 mila euro, oppure la segnalazione alla centrale rischi della Banca d'Italia, la cosiddetta "black list. Francesco Massaro è un giornalista che ormai gestisce da anni l'attività di famiglia, un bar pasticceria aperto dal padre sessant'anni fa. Qualche giorno fa ha ricevuto una lettera da parte del Creval, il credito valtellinese, sua ex banca, che gli intimava di rientrare, entro dieci giorni da un debito di 110 mila euro.

"Una richiesta inaudita e inammissibile - dice Massaro - Visto che con la banca c'è una causa per anatocismo in corso e vista la situazione in cui ci troviamo, chiusi senza guadagnare, se non pochi spiccioli, per l'emergenza sanitaria da coronavirus". Massaro racconta la storia di questa causa. Lui oltre 25 anni fa, ha aperto un conto in quella che era il Credito siciliano, oggi Creval, Credito valtellinese. Un correntista di vecchia data e un imprenditore, come ce ne sono tanti, che lavora utilizzando spesso il fido e la scopertura. "Niente di strano - dice Massaro - Lo fanno molti imprenditori. Loro mi avevano fatto questa proposta e io avevo accettato". Ma un giorno la banca gli chiede di rientrare da questo debito, che era poco più di 80 mila euro, presentando un conto di oltre 110 mila euro.

"A quel punto ho chiesto a un giudice se la richiesta della banca fosse legittima - racconta Massaro - e ho iniziato una causa per anatocismo, l'usura bancaria contro il Creval". Tra consulenze e deposizioni, dopo circa tre anni era attesa proprio in questi giorni la sentenza. E invece, in pieno lockdown, Massaro riceve la lettera della banca che gli intima di ripagare il debito: "Una tempistica moralmente inaccettabile - dice Massaro - Qui è tutto fermo. I miei dipendenti sono in cassa integrazione, io non riesco a pagare gli affitti e la banca vuole tutti questi soldi. È un po' come chiedere questi soldi a un paziente che lotta fra la vita e la morte. In ogni caso credo che la banca non potesse inviare questa lettera, visto che c'è una causa in corso che, di fatto, ha cristallizzato tutto". Secondo Massaro, la consulenza d’ufficio disposta dal giudice avrebbe stabilito un tasso di interessi inappropriato. "Nella peggiore delle opzioni accertate dal Ctu la mia azienda resterebbe debitrice nei confronti della Crevel di 21 mila euro, molto ma molto meno dei 109 mila euro richiesti - spiega l'imprenditore - E vi dirò di più: sto valutando con il mio legale di denunciare la banca per tentata estorsione".

Ma secondo Creval, interpellata da Agi, nel suo racconto Massaro ha "omesso alcune importanti informazioni che hanno indotto la banca, ben prima dell’emergenza Coronavirus e con precisione nel febbraio 2017, alla messa in scadenza dell’affidamento. Riteniamo inopportuna qualsiasi strumentalizzazione della drammatica situazione che il Paese e la classe imprenditoriale italiana stanno vivendo, in particolare quelle aziende meritevoli a cui la Banca ha infatti deciso di concedere una moratoria sui prestiti". Una spiegazione a cui Massaro replica così: "A loro faccio tre domande - conclude Massaro - La banca può chiedere il rientro immediato della scopertura durante una causa in corso? Può minacciare l’iscrizione alla centrale rischi della Banca d’Italia durante una causa in corso? È moralmente accettabile che questo tipo di intimazione venga fatta mentre aziende come la mia si trovano a fronteggiare una crisi senza precedenti e che lottano per la sopravvivenza? Non c’è da parte mia alcun tentativo di strumentalizzazione, mi pare che i fatti si commentino da soli".

Cos'è l'anatocismo

Si tratta di una pratica che le banche mettevano in atto quasi tutte, anni fa. In pratica gli interessi a debito del correntista venivano liquidati (sul conto) con frequenza trimestrale, mentre gli interessi a credito dello stesso erano liquidati con cadenza annuale. In questo modo si provocava un disallineamento nella maturazione degli interessi a debito e il conseguente fenomeno dell'anatocismo, perché venivano calcolati interessi su interessi. Per fare un esempio, se un correntista aveva un conto in rosso per 10.000 euro, la banca gli addebitava ogni tre mesi i relativi interessi. In questo caso, al tasso del 10%, erano 250 euro che andavano a gravare subito (senza attendere la fine dell'anno) sul capitale a debito. I successivi interessi a debito venivano calcolati non più su 10.000 euro, ma su 10.250 euro e così via. Con questo sistema il correntista si trovava a pagare, alla fine dell'anno, un monte interessi più alto rispetto al calcolo annuale. In realtà, il divieto dell'anatocismo (bancario e non) è sempre esistito nell'ordinamento giuridico italiano in virtù dell'articolo 1.283 del Codice Civile.

Anche se le banche agivano legittimamente quando applicavano la metodologia di calcolo degli interessi sopra descritta, perché tale comportamento era stato ampiamente avallato dalla giurisprudenza, almeno fino al momento in cui è iniziato tutto il processo di revisione interpretativa delle norme riguardanti l'anatocismo, che ha portato dopo molti anni alla famosa sentenza della Corte di Cassazione del 4 novembre 2004 diventata ormai punto di riferimento per questi casi.

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