Scena del crimine

"Serena Mollicone denunciò lo spaccio di droga". Quel padre morto senza la verità

Il prossimo 19 marzo prenderà via il processo contro i 5 imputati per l'omicidio di Serena Mollicone. A 20 anni dalla sua morte, il colpevole è ancora sconosciuto

"Serena Mollicone denunciò lo spaccio di droga". Quel padre morto senza la verità

Una morte che, a distanza di 20 anni, non ha ancora un colpevole. Il prossimo 19 marzo partirà il processo per l'omicidio di Serena Mollicone, la diciottenne di Arce scomparsa nel 2001. Ma numerosi sono ancora i punti oscuri, i dubbi e le perplessità che aleggiano intorno a una vicenda che rimane uno dei più profondi misteri della cronaca nera italiana.

La scomparsa di Serena Mollicone

Il 1° giugno 2001 la studentessa Serena Mollicone uscì dalla sua casa di Arce (in provincia di Frosinone) per andare a fare una visita dentistica in ospedale, che si concluse intorno alle 9.30 della mattina. Alcuni testimoni avrebbero affermato poi di averla vista in una panetteria nei pressi della stazione e successivamente nella piazza del paese. Poi scomparve. E all'ora di cena Serena non era ancora rientrata a casa: così il padre Guglielmo ne denunciò la scomparsa. A quei tempi Serena frequentava l'ultimo anno del liceo socio-psico-pedagogico di Sora e suonava il clarinetto nella banda del paese. La madre era morta quando lei era ancora piccola, mentre il padre lavorava come insegnante delle scuole elementari e gestiva una cartolibreria in paese. La studentessa aveva anche una sorella, Consuelo di 28 anni, che non viveva più ad Arce. Due giorni dopo, domenica 3 giugno 2001, il corpo senza vita della studentessa venne ritrovato nel bosco di Fontecupa, a 8 chilometri da Arce: la testa, con un'evidente ferita vicino all'occhio sinistro, era stata avvolta in un sacchetto di plastica, mentre mani e pieni erano state legati con nastro adesivo e fil di ferro. Diversi giri di nastro adesivo erano serviti anche ad avvolgere il naso e la bocca della ragazza.

Le indagini

Tra i primi indagati per l'omicidio di Serena ci fu Carmine Belli, un ex carrozziere che, come riferiva LaPresse, venne arrestato con l'accusa di essere l'assassino della studentessa di Arce. Ma nel luglio del 2004, dopo aver trascorso quasi un anno e mezzo di reclusione, l'uomo venne assolto, nonostante il pm avesse chiesto per lui una pena a 23 anni di reclusione. La sentenza di assoluzione venne confermata nel dicembre 2006 dalla Corte di Cassazione, secondo cui gli elementi indiziari a carico dell'imputato non erano sufficientemente consistenti. Tra le motivazioni che portarono alla decisione, la Cassazione indicò l'impossibilità di arrivare a una condanna "oltre ogni ragionevole dubbio" per diversi motivi, tra cui l'approssimazione delle indicazioni medico-legali e l'esito negativo degli accertamenti sulle impronte digitali su "oggetti certamente maneggiati dall'autore del delitto". Negativo anche l'esame del Dna. Per questo la Corte ha rigettato i ricordi presentati contro l'assoluzione di Belli. Così, dopo oltre 4 anni, il killer di Serena Mollicone è rimasto senza un nome.

Due anni dopo, nell'aprile del 2008, il brigadiere Santino Tuzi si tolse la vita, sparandosi al petto. L'uomo era stato interrogato nel corso delle indagini per l'omicidio Mollicone e aveva rivelato di aver visto la studentessa nei pressi della caserma di Arce nel pomeriggio di quel venerdì 1° giugno 2001, giorno della scomparsa.

Così, nel 2011, vennero iscritti nel registro degli indagati l'ex maresciallo Franco Mottola, allora in servizio alla caserma di Arce, la moglie e il figlio Marco. Per anni si susseguirono verifiche, esami e ipotesi, senza che le indagini facessero significativi passi avanti. Fino alla perizia svolta dalla professoressa Cristina Cattaneo, dopo la riesumazione del corpo di Serena, nel 2016.

La svolta

La nuova perizia svolta dal medico legale indicò la possibilità che Serena fosse stata picchiata e poi soffocata con un sacchetto. Non solo: le lesioni presenti sulla testa sarebbero state anche "compatibili" con l'urto rinvenuto su una porta che si trovava nella caserma dei carabinieri di Arce. "Stabilito che in via di elevata probabilità le lesioni contusive e le fratture al capo - si legge, secondo quanto aveva riportato all'epoca il Giornale - sono la conseguenza di un urto del versante sinistro del capo contro una superficie piana e ottusa compatibile con la porta in giudiziale sequestro, va ricordato che la morte non è comunque da ricondursi a questo trauma". Per questo l'ipotesi principale era quella di una morte per "asfissia meccanica", seguita a "un trauma cranico, molto probabilmente produttivo di una perdita di coscienza".

L'anno dopo arrivò anche la perizia dei Ris che, dopo 17 anni, sembrò segnare una svolta importante, sposando l'ipotesi secondo cui Serena venne uccisa all'interno della caserma. Secondo l'accusa, la ragazza venne spinta contro la porta collocata in caserma, data la compatibilità tra i microframmenti rinvenuti sul nastro adesivo trovato sul corpo della vittima e il legno della porta. Poi sul capo della Mollicone sarebbe stato applicato un sacchetto di plastica, che la avrebbe fatta morire soffocata. "Chi uccise mia figlia aveva paura di Serena perchè lei ebbe il coraggio di andare nella caserma dell'Arma per denunciare l'enorme spaccio di droga che all'epoca c'era ad Arce, terzo polo dello spaccio di stupefacenti dopo Roma e Napoli. Spaccio controllato da un boss camorrista capo degli Scissionisti", aveva dichiarato allora Guglielmo Mollicone a Radio Cusano Campus. Non solo. Secondo il padre della studentessa, "furono in tanti a depistare le indagini".

Gli ultimi sviluppi

A seguito del nuovo filone di indagini, l'accusa chiese il rinvio a giudizio di 5 persone, tra cui tre carabinieri. Si trattava del maresciallo Mottola, della moglie e del figlio Marco, tutti accusati di omicidio, del sottufficiale Vincenzo Quatrale, accusato di concorso in omicidio e istigazione al suicidio di Tuzi, e del carabiniere Francesco Suprano, per favoreggiamento. Stando alla ricostruzione del delitto, effettuata da parte dell'accusa, Serena sarebbe stata colpita mentre si trovava in caserma, forse a seguito di un litigio con Marco, che l'avrebbe portata a sbattere la testa contro la porta. La ragazza poi sarebbe stata legata e sarebbe morta soffocata per in nastro adesivo che le copriva la bocca e il sacchetto di plastica con cui le venne coperto il capo. La difesa dei Mottola non è d'accordo con l'ipotesi accusatoria: si mette in dubbio in particolare che il segno sulla porta della caserma corrisponda al colpo subito dalla studentessa, e si evidenziano le differenti altezze tra la ferita sul volto della ragazza e quella sulla porta.

Il 24 luglio 2020 il giudice dell'udienza preliminare decise, dopo una fase preliminare durata diversi mesi, di rinviare a giudizio i 3 carabinieri e i parenti dell'ex maresciallo, "con l'accusa a vario titolo di concorso in omicidio volontario, occultamento di cadavere, istigazione al suicidio e favoreggiamento", come riportato da LaPresse. "È un piccolo passo importante, e vale l'uno e l'altro aggettivo. Perché il percorso da fare è lungo, ma senza questo passaggio fondamentale si sarebbe fermato tutto oggi", aveva commentato il legale della famiglia Mollicone, Dario De Santis, alla notizia del rinvio a giudizio.

L'inizio del procedimento davanti alla Corte d'Assise per la morte di Serena Mollicone era previsto per lo scorso 15 gennaio, ma è stato rinviato a causa di una carenza di giudici al tribunale di Cassino. Ora la prima udienza è fissata per il prossimo 19 marzo. La speranza è quella di fare luce su un delitto ancora oscuro e per il quale non c'è ancora un colpevole certo.

In tutti questi anni si è sempre battuto per la verità il padre di Serena, Guglielmo Mollicone, venuto a mancare lo scorso 31 maggio, senza aver visto la giustizia che sperava di donare alla figlia.

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