Cronache

Delitto di via Poma: i motivi dell'assoluzione di Raniero Busco

Il Dna e il morso non sono attribuibili all'ex fidanzato della Cesaroni. Ma per la Cassazione "vi sono ancora dei punti oscuri"

Delitto di via Poma: i motivi dell'assoluzione di Raniero Busco

"Vi è una mancanza di prova che fa cadere la certezza della presenza dell'imputato sul luogo del delitto al momento del delitto". È scritto nelle motivazioni della sentenza della Cassazione che lo scorso 26 febbraio ha confermato l'assoluzione di Raniero Busco per il delitto di Simonetta Cesaroni. La ragazza fu trovata morta il 7 agosto 1990 in via Poma, a Roma. Busco, l'unico sotto accusa, è stato assolto "per non aver commesso il fatto".

Nelle trenta pagine della Cassazione si legge che ci sono ancora dei "punti oscuri che sono rimasti non spiegati e niente affatto secondari: si pensi, tra di essi, al rinvenimento dell'agenda di Pietro Vanacore fra gli effetti personali della vittima refertati sul luogo del delitto", scrive la Corte. Vanacore era il portiere dello stabile in cui è stata trovata morta la Cesaroni. Il 9 marzo del 2010 l'uomo si è suicidato gettandosi in mare con un albero legato ad una caviglia. Prima di levarsi la vita aveva scritto "20 anni di sofferenze e sospetti ti portano al suicidio".

Proprio i punti oscuri della vicenda sono al centro delle motivazioni della sentenza. Il relatore Giacomo Rocchi sottolinea come da parte dei giudici dei precedenti gradi di giudizio, anche quelli di primo grado che condannarono Busco, "non vengono taciuti i punti oscuri della vicenda". In particolare, per quel che riguarda le tracce di Dna e il morso di Busco, la Cassazione scrive che "si dimostra la insostenibilità della sua attribuzione a Busco e dell'origine salivare del Dna presente sui capi di vestiario repertati". Questa incertezza, aggiunge la Cassazione, non può "essere colmata in modo diverso: la Corte territoriale dimostra, infatti, che la ricostruzione adottata nella sentenza di primo grado è suggestiva, ma ampiamente congetturale in ordine a vari aspetti, come l'effettuazione della telefonata da Simonetta Cesaroni a Busco all'ora di pranzo di quel giorno, il contenuto di tale telefonata, la conoscenza da parte di Busco del luogo dove la Cesaroni lavorava, la spontaneità della svestizione da parte della vittima, l'autore dell'opera di ripulitura della stanza, le modalità e i tempi di tale condotta, movente dell'omicidio, la falsità dell'alibi da parte dell'imputato".

Raniero Busco, che all'epoca era fidanzato con la Cesaroni, nel 2011 era stato condannato in primo grado a 24 anni di reclusione per omicidio aggravato.

La Corte d'Assise d'Appello ha poi assolto l'uomo, nel 2012, per non aver commesso il fatto.

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