Denunciare il figlio per ridargli la vita

Quand'è che la minaccia ha smesso di essere «ti faccio sparire la macchinina rossa» ed è diventata «ti denuncio e ti mando in galera»?

Denunciare il figlio per ridargli la vita

Quand'è che la minaccia ha smesso di essere «ti faccio sparire la macchinina rossa» ed è diventata «ti denuncio e ti mando in galera»? Quand'è che ci è sfuggito talmente tutto di mano da essere costretti a «passare la mano»? E poi quand'è che la minaccia è diventata castigo? Quand'è che abbiamo iniziato a dubitare, a contorcerci e a lacerarci? A sorvegliare e punire, come Michel Foucault nel suo Panopticon? Quand'è che da madri, abbiamo dovuto trasformarci in spie, in informatori, in «secondini»? C'è un punto esatto in cui tutto si incrina e si rompe, irrimediabilmente, oppure è un lento sovrapporsi di sottili, invisibili strati che trasforma nostro figlio in qualcun altro, che lo porta altrove senza che noi ce ne rendiamo conto? Davvero non c'è modo di capire, di sentire, cosa succede tra quella macchinina rossa e la telefonata ai carabinieri «andatelo a prendere, è lì»? Ieri una mamma di Torino, ha denunciato il proprio figlio, Luigi Galantucci, 21 anni. Il ragazzo, affidato a lei, evadeva dagli arresti domiciliari per rapinare banche, supermercati e centri scommesse. Secondo gli investigatori, lui e il suo complice (Angelo Furnò, di 35 anni) sarebbero responsabili di sedici assalti con pistole e coltelli commessi tra febbraio e novembre a Torino e Venaria. Qualche mese fa, il 22 novembre scorso, un'altra madre, Daniela Manzitti, di Corato, in provincia di Bari, aveva consegnato il proprio figlio alle forze dell'ordine: «Andatelo a prendere, è all'ospedale: ha accompagnato la fidanzata a fare un'ecografia, la ragazza è incinta».

Anche il figlio della Manzitti era fuggito dai domiciliari, tre mesi prima. Viveva da latitante dopo essere stato condannato per spaccio e furto aggravato. E lei era consumata dall'angoscia che tutto potesse finire in tragedia. Per questo aveva scelto di «tradire» suo figlio mettendo gli inquirenti sulle sue tracce e consentendo loro di catturarlo. E aveva spiegato ogni cosa in una lettera straziante e condivisibilissima: «Carissimo figlio mio, l'altra mattina ho fatto qualcosa che una madre non vorrebbe e non dovrebbe mai fare: ho tradito la cieca fiducia che tu da 24 anni riponevi in me, consegnandoti nelle mani di qualcuno che di te non sa nulla... Il non sapere dove stavi, come sopravvivevi, dove dormivi, chi potevi incontrare durante il tuo oscuro cammino, mi logorava da mesi... Odiami ragazzo mio, odiami finchè vorrai... un giorno ammetterai che, in cuor tuo, era ciò che volevi anche tu: porre fine a questo supplizio...».

Più o meno con queste parole, ed esattamente col gesto della denuncia Daniela ha rimesso in vita suo figlio per la seconda volta. Perfino noi, che non siamo nemmeno mai stati capaci di sottrarre una macchinina rossa anche quando sarebbe stato il caso, capiamo bene che non è di «castigo» che stiamo parlando.
Valeria Braghieri

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