Guerra in Ucraina

Destra al bivio spaesata dall'invasore

La Destra e Putin, una lunga storia che ha inizio quando Putin non c'era ancora e l'Urss comunista era appena scomparsa

Destra al bivio spaesata dall'invasore

La Destra e Putin, una lunga storia che ha inizio quando Putin non c'era ancora e l'Urss comunista era appena scomparsa, la fine di un mondo, insomma, nonché di un'epoca e di un'ideologia e il cercare di capire, lasciando perdere le chiacchiere sulla «fine della storia», che cosa sarebbe venuto al suo posto.

Abbiamo scritto la Destra, per comodità, perché di destre ce ne sono tante e non sempre, anzi, quasi mai, concordi fra loro, anche se fanno finta che non sia vero. Schematicamente, diremo che di quella Destra non faceva e non fa parte quella liberale, meglio liberista, capitalista, è ovvio, filoccidentale nel senso di filoamericana. Che al suo interno restassero elementi identitari, un accenno alle comuni radici europee, una difesa delle tradizioni, degli usi e dei costumi, un conservatorismo di fondo nonché un fastidio più o meno mitigato per l'american way of life, un anticomunismo radicato indipendentemente o meno dall'esistenza del comunismo stesso, la rendevano, e la rendono, spesso contraddittoria, se non schizofrenica nelle sue scelte politiche, ma questa, come diceva Kipling, è un'altra storia e non è qui il caso di raccontarla.

Chi invece ne faceva e ne fa parte è una destra che si potrebbe definire radicale, più sociale che liberista, europea, nel senso che il suo occidente non è quello d'oltreoceano, geopolitica nel suo voler considerare il Vecchio continente come soggetto autonomo, in grado di confrontarsi e/o contrapporsi ad altri soggetti autonomi, internazionali e/o locali, gli Stati Uniti come la Cina, l'Iran, la Turchia... In quest'ottica, la Russia post-comunista, di cui da vent'anni Putin è il dominus incontrastato, viene considerata parte integrante e insieme necessaria dell'Europa, di cui ha del resto a lungo condiviso la storia e che solo la Rivoluzione bolscevica dell'ottobre del '17, quando l'Impero russo combatteva a fianco delle potenze dell'Intesa, ha trasformato per circa un settantennio in nemico e in pericolo. Il lettore a questo punto si stropiccerà gli occhi, incredulo e insieme perplesso e non ci sentiamo di dargli torto. Che cosa tutto questo abbia a che fare con le felpe, le magliette, le spillette il «cambio due Merkel per un Putin» eccetera eccetera, non riesce a capirlo, e francamente non lo capiamo neppure noi. L'unica cosa che ci sentiamo di dire è che la politica politicante è piena di slogan quanto vuota di contenuti, va alla pesca delle occasioni, mastica e digerisce posizioni come fossero i popcorn comprati al luna park, cavalca ondate emozionali, saccheggia analisi a lungo termine e le brucia in un falò trasformandole in sterile cenere. E tuttavia, se il lettore sta attento e cerca di mirare alto, oltre le contingenze, si renderà benissimo conto che ormai da anni è in atto un nuovo assetto dell'asse geopolitico e geostrategico che era stato egemone dalla fine della Seconda guerra mondiale alla caduta del Muro di Berlino e alla dissoluzione dell'Urss, e che in esso il ruolo, le ambizioni, le sfere di influenza e le scelte di campo della Russia di Putin hanno un peso che non può essere sminuito e a cui vanno trovate risposte adeguate. Si chiama da sempre Realpolitik. Facciamo finta che non sia così, ma mentiamo a noi stessi.

Torniamo alla Destra di Putin. E l'autoritarismo, il decisionismo, il populismo antidemocratico? Non sono forse parte significativa di quella destra? Perché non le sta sottolineando? Eccoci pronti a farlo, con la preghiera però di guardare bene gli scheletri in tutti gli armadi ideologici. La storia della sinistra socialista e comunista è piena di dittatori-nuotatori o «piccoli padri», di sterminatori seriali, l'imperialismo in salsa comunista o in salsa liberista è pieno di governi rovesciati con l'inganno o con le armi, di invasioni «amiche» di «esportazione della democrazia» sulla punta dei missili o delle baionette, di occupazioni manu militari frutto del decisionismo di questa o quella potenza e di violazioni del diritto internazionale. Non giochiamo con le parole. Se, come diceva un grande poeta tedesco, Gottfried Benn, «la storia non procede in modo democratico, procede con la violenza», è meglio prenderne atto e cercare di governarla, non far finta che non esista e però continuare a praticarla. E va da sé che tutti quei suffissi in ismo nascondono delle verità in forma di parola, decisione, autorità, popolo, che sono alla base di ogni democrazia degna di questo nome, dove appunto c'è chi ha avuto il potere per decidere e ne deve rendere conto a chi quel potere glielo ha dato e a maggior ragione glielo può togliere. Per restare in Italia, il tasso incredibile di astensionismo, la crisi del sistema dei partiti, il susseguirsi dei sistemi elettorali, ci dovrebbe far riflettere in tal senso.

C'è poi chi si è chiesto come sia stato possibile che una destra che ieri protestava contro i carri armati sovietici in Ungheria e in Cecoslovacchia, non protesti oggi contro i carri armati russi in Ucraina. Dato per scontato che si dovrebbe sempre protestare quando c'è un'invasione e/o aggressione, il problema è mal posto. Per quella destra si trattava di una protesta ideologica, anticomunista, appunto. Qui lo scenario è completamente differente e l'Ucraina, la cui dimensione geografica attuale è figlia della vittoria dell'Urss di Stalin, fino all'altro ieri di quell'Urss faceva parte, così come precedentemente aveva fatto parte dell'Impero russo. È tutto molto più complicato di quanto la faciloneria, nonché la supponenza odierna voglia farci credere. Non si capirebbe del resto per quale motivo, per più di mezzo secolo, l'Europa sia stata divisa in due e il «mondo libero» si sia limitato a prenderne atto.

Infine, ma questo riguarda più in generale il pensiero unico che si era imposto negli ultimi anni, dopo aver teorizzato il globalismo, schernito l'idea di nazione e di sovranità, nonché quella di confine, plaudito all'homo migrans, nella logica di «cittadino del mondo» e alla sua trasformazione in merce, di colpo sono tornati sulla scena concetti semplici, patria, suolo, identità, lingua, focolare domestico, coraggio, indipendenza, concetti appunto considerati fino a ieri residui molesti del passato da quegli stessi che in Italia oggi indossano la mimetica sopra il pigiama e nel salotto di casa. C'è qualcosa che non quadra, e se non fossimo di fronte a una tragedia, ci sarebbe da ridere.

Onore all'Ucraina, naturalmente, con il cuore si sta sempre dalla parte del più debole e del resto il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.

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