Il dietrofront è un suicidio Così riparte l’assalto all’Italia

Senza trattato si tornerebbe al caos del 2016, con oltre 180mila sbarchi. Ecco perché i ritocchi saranno minimi

Il dietrofront è un suicidio Così riparte l’assalto all’Italia

L a foglia di fico dietro cui nascondere le ipocrisie di un Pd e di un Movimento 5 Stelle terrorizzati dall’idea di cancellare il Memorandum Italia Libia è pronta. La nota verbale in cui si chiede d’istituire una commissione bilaterale guidata per l’Italia dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio e da quello delll’Interno Luciana Lamorgese per «migliorare il memorandum sul fronte dei diritti umani» è arrivata a Tripoli a poche ore dalla scadenza di ieri due novembre. L’assenza di quella nota avrebbe imposto il rinnovo automatico del documento firmato il 2 febbraio 2017 dall’allora premier Paolo Gentiloni e dall’omologo libico, Fayez Al Serraj. Ma possiamo dormir sonni tranquilli. Nessuno né qui né in Libia intende cambiare granché. Per capire perché bisogna tornare alla fine del 2016 quando l’arrivo delle Ong nel Mediterraneo ci regala il record di 181.436 sbarchi e il conseguente, tragico bilancio di 4.581 morti in mare. In quei giorni a Bruxelles circola il rapporto del comandante della Missione Sophia ammiraglio Enrico Credendino che stima tra i 275 e i 325 milioni di euro le entrate annue garantite alle città costiere libiche dal traffico di umani. Per risolvere la situazione bisognerebbe portare alle estreme conseguenze l’Operazione Sophia utilizzandola, come da mandato, per far la guerra ai trafficanti. Ma in Europa nessuno ha voglia di farlo. Marco Minniti, ministro dell’Interno dell’epoca e custode dei dossier libici, capisce di avere una sola via d’uscita. Bisogna fornire al governo libico finanziamenti alternativi ai ricavi del traffico, contenere l’attività delle Ong cruciali per l’ultimo miglio della rotta e istituire una Sar (zona di soccorso) libica con una Guardia Costiera pronta a riportare sulle proprie coste i migranti. Ma per evitare rivolte capaci di far cadere il governo Serraj bisogna garantire «lavori» alternativi ai miliziani coinvolti. A fine giugno 2017 la crisi diventa emergenza. In 4 giorni sbarcano in Italia 10mila migranti mentre le statistiche indicano un incremento degli arrivi superiore del 26 per cento rispetto ai record del 2016. In quel drammatico frangente il «Memorandum Italia-Libia» diventa lo strumento giuridico indispensabile per distribuire a Tripoli i milioni necessari a compensare le mancate entrate del traffico di umani e trasformare in «guardiacoste» migliaia di miliziani tra cui il famigerato capobastone di Zawya Abdurhaman al Milad, meglio conosciuto come Bija. L’operazione condotta dai nostri 007 su un territorio già allora segnato dalle interferenze di Parigi, dalla guerra civile con Haftar e dalla indifferenza dell’Europa non è perfetta, ma garantisce – grazie anche alle limitazioni imposte alle Ong e all’avvio della Sar libica - un immediato ridimensionamento delle partenze. I 109mila sbarchi del 2017 sono il numero più basso dal 2014 e mentre i morti in mare si riducono a 2.853. Il contesto giuridico del Memorandum e l’operazione Minniti diventano la base indispensabile sui cui s’inseriranno poi quella chiusura dei porti e quei «decreti sicurezza» con cui Salvini riduce gli sbarchi a quota 22mila nel 2018 e ad appena 5.624 nei primi otto mesi del 2019. Proprio per questo anche chi all’interno del Pd si finge commosso e turbato dai lamenti della sinistra «umanitaria» e «buonista» sa bene che cancellare il memorandum significherebbe ritrovarsi a fronteggiare i trafficanti anziché la guardia costiera e far i conti non con i 692 morti in mare di quest’anno, ma con i 4.581 del 2016. Anche perché in questi tre anni la situazione in Libia non è migliorata, ma degenerata. E la comunità internazionale ha lasciato mano libera a paesi come Egitto, Turchia, Francia ed Emirati Arabi ben più interessati a vendere armi ai propri protetti locali che non a fermare i traffici d’uomini.

In questo contesto una cancellazione del Memorandum anziché migliorare le condizioni dei migranti detenuti in Libia porterebbe piuttosto alla totale estromissione dell’Italia dalla sua ex-colonia mettendo a rischio non soltanto il controllo dei flussi migratori, ma anche il gas e il petrolio dell’Eni. E così nell’illusione di salvare i migranti c’infliggeremmo un fatale harakiri.

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