Il Dragone che divora tutto

La Cina sta entrando in Afghanistan a vele spiegate. Vele di seta, naturalmente. La ritirata o, meglio, la rotta di Joe Biden si trasforma in una catastrofe.

Il Dragone che divora tutto

La Cina sta entrando in Afghanistan a vele spiegate. Vele di seta, naturalmente. La ritirata o, meglio, la rotta di Joe Biden si trasforma in una catastrofe. Ai vecchi problemi se ne aggiunge uno nuovo, anche se non molto noto: la fuga dell'Occidente spalanca la porta all'arcinemico del mondo occidentale, la Repubblica Popolare Cinese che persegue a ritmo forsennato la sua politica di grandissima potenza militare ed è affamata di materiali di cui l'Afghanistan è ricchissimo - che oggi costituiscono la ricchezza delle nazioni, non più il petrolio, ma le «terre rare» dai nomi poco noti come il lantanio, il cerio, il neodimio e i giacimenti di litio.

A che cosa servono queste terre rare? A rendere più potenti e più sofisticati i congegni da cui dipende la supremazia militare e tecnologica, dai cellulari ai carri armati, dai missili alle reti satellitari. L'Afghanistan durante tutti questi anni di intervento occidentale ha moltiplicato la produzione di eroina, che è la vera banca dei santoni integralisti e moralisti ai quale Biden ha restituito Kabul. Questa azienda integralista, perché integrata con Al-Qaida, è il più potente cartello della droga del mondo (più dei sudamericani) che produce un profitto di trecento miliardi di dollari (tra poco sotto il controllo cinese), il che rende l'Afghanistan la più desiderabile preda per preparare armi con cui combattere cyber-war attraverso i computer e le guerre aeree e stellari. Ricordiamo che la Cina ha i suoi satelliti militari protetti dalla faccia nascosta della Luna.

La frettolosa e caotica fuga americana potrebbe in teoria incoraggiare le minoranze musulmane cinesi, già segregate in campi di concentramento. Pechino non teme alcuna ripercussione del genere e considera la fuga di Biden come un colpo di fortuna. A Kabul sono aperte solo tre ambasciate: la pakistana, la russa e quella di Pechino, i cui strateghi hanno da tempo offerto ai talebani un programma di infrastrutture per più di trecento miliardi di dollari con cui contano di poter piantare le unghie su quelle terre anche rare, come stanno già facendo in quasi tutta l'Africa dove ci sono Stati che si sono indebitati fino alla miseria per avere accettato l'amico cinese. Tutto ciò accade sotto gli occhi delle nostre intelligence e di coloro che, di mestiere, non dovrebbero sguazzare sul bagnasciuga ma studiare come impedire l'inferno possibile prossimo venturo.

Alla questione umanitaria di proporzioni gigantesche si è dunque aggiunto il problema strategico che ci riguarda tutti perché è in gioco la questione della pace e della guerra e di conseguenza della nostra stessa libertà personale e collettiva.

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