Coronavirus

Ecco la verità sul numero dei medici deceduti per Covid

Nell'elenco dei medici morti per Coronavirus anche uno di 104 anni. Il presidente dell'ordine degli infermieri di Bari: "Molti dei deceduti non erano in servizio". Il presidente della Fnomceo: "Sono nostri morti"

Ecco la verità sul numero dei medici deceduti per Covid

È un tema molto dibattuto quello del numero reale dei decessi per Covid. E lo è ancora di più quello dei medici deceduti per Coronavirus perché contagiati, durante l'attività lavorativa, da pazienti positivi all'infezione polmonare. Stando ai dati pubblicati dagli organi di stampa al momento sono 150 i medici deceduti per Coronavirus (dato aggiornato al 24 aprile). Il numero è reso pubblico dal sito della FNOMCeO, la federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri.

Il presidente commenta il lungo elenco con un verso del poeta Giuseppe Ungaretti: "I morti non fanno rumore, non fanno più rumore del crescere dell’erba". Gli ultimi medici a perdere la vita sono Roberto Stella, responsabile dell’area formazione della Fnomceo, e presidente dell’ordine dei medici di Varese. E poi, Marcello Natali, segretario Fimmg di Lodi. Ivano Vezzulli, medico di medicina generale nel Lodigiano. Mario Giovita, medico di medicina generale della provincia di Bergamo. Prima di loro, Raffaele Giura, primario di pneumologia a Como. Carlo Zavaritt, ex assessore e medico bergamasco. Giuseppe Borghi, medico di Medicina Generale a Casalpusterlengo. I loro nomi sono in cima ad una tragica lista.

"Questo dato che assomiglia a un bollettino di guerra, mi ha incuriosito" ha commentato Saverio Andreula, presidente dell'ordine degli infermieri di Bari che, con un gruppo di lavoro, ha analizzato l'elenco dei medici deceduti apparsi sul sito della Fnomceo. "C'è l'elenco dei medici deceduti per Covid, ma non ci sono solo quelli che sono stati contagiati perché svolgevano l'attività professionale nei Covid Hospital o comunque nelle aree di cura Covid. Tra i deceduti ci sono anche i pensionati non tornati al lavoro durante l'emergenza in corso o medici che sono deceduti a causa del Coronavirus, ma non perchè assistevano pazienti positivi". Tra i nomi dei deceduti, infatti, c'è anche quello di un medico di 104 anni.

Sul sito in questione accanto al nome del deceduto c'è solo la data di morte, ma non di nascita. "Noi siamo andati sull'anagrafica dei medici e abbiamo scoperto che nell'elenco c'erano anche persone non più iscritte all'albo perché in pensione da tempo" ha specificato Andreula.

"Nell’elenco – spiega in una nota il presidente della Fnomceo – si è deciso di includere tutti i medici, pensionati o ancora in attività, perché per noi tutti i medici sono uguali e uguale è il cordoglio per la loro perdita". Questo dettaglio, però, ha creato un po' di confusione. I medici deceduti a causa del Coronavirus contratto durante l'attività lavorativa sembrerebbe non essere, quindi, 150 "ma intorno ai sessanta" specifica Andreula. "Il dato specifico non ce l'abbiamo, lo dovrebbe fornire l'istituto superiore di sanità" dice, dal canto suo a ilGiornale.it, Filippo Anelli, presidente della Fnomceo.

Andreula, insieme ai coordinatori del gruppo di ricerca dell’Opi Giovani di Bari (Opi sta per ordini professioni infermieristiche), Francesco Molinari e Cinzia Papappicco, sono andati a fondo sulla vicenda. Nella nota inviata agli organi di stampa sono riportati i dati esatti sui deceduti. "Risultano 60 medici nella fascia di età 32-69 anni, 24 medici deceduti nella fascia di età 70-79 anni, 16 medici deceduti che supera gli 80 anni, infine, 42 nominativi di medici deceduti non ricompresi dell’anagrafica della Fnomceo, probabilmente per errori o refusi dei compilatori dell’elenco, senza ulteriori controlli prima della pubblicazione, o si tratta (ma la cosa è tutta da verificare), di professionisti che hanno esercitato l’arte medica, ma da tempo pensionati e non più iscritti all’ordine " scrivono gli infermieri nella nota. "Siamo andati a fondo a questa cosa, ma per un semplice spirito di verità" ha dichiarato a ilGiornale.it, Saverio Andreula.

"Io non ho volutamente risposto alla nota degli infermieri e non vorrei rispondere perché non c'è nessuna ragione al mondo che la giustifichi" ha risposto Filippo Anelli, continuando "Noi pubblichiamo l'elenco dei medici deceduti, punto. Sono tutti nostri iscritti o sono stati nostri iscritti. Abbiamo il diritto di piangere i nostri morti, noi tutti i medici li consideriamo 'nostri' morti, non vedo cosa ci sia da dire in merito a questo".

Insomma, il numero dei medici deceduti non fa riferimento solo ai medici "caduti in prima linea", ma anche a medici in pensione e non tornati a lavorare durante questa pandemia. D'altronde sullo stesso sito della Fnomceo c'è scritto semplicemente "Elenco dei Medici caduti nel corso dell’epidemia di Covid-19".

Il discorso, alla fine, finisce sulla piaga più grande: la sicurezza. I medici in servizio contagiati avevano i dispositivi individuali adeguati? Quei contagi e, quindi quei decessi, si potevano evitare? "Bella domanda - risponde Anelli - I medici di famiglia non avevano assolutamente i dispositivi di sicurezza individuale. Questa è una polemica che abbiamo fatto dal primo giorno. Il tema della sicurezza oggi è un tema che viene percepito con fastidio, soprattutto dalle Regioni. Il diritto all'integrità psicofisica di ogni lavoratore è sancito dalle norme costituzionali e non rispettarlo significa violare la Costituzione e non è possibile oggi che la pretesa dei medici di lavorare in sicurezza sia considerata un fastidio e non come una legittima pretesa, da chi gestisce oggi la Sanità. Tutti gli organi della Repubblica devono garantire il diritto alla sicurezza. Quei decessi (dei medici che hanno contratto il virus sul posto di lavoro, ndr), se ci fossero stati i dispositivi adatti, non si sarebbero verificati. Il tema della sicurezza è stato sottovalutato e ha determinato l'esplosione dell'epidemia, soprattutto in Lombardia, Piemonte ed Emilia. Ancora oggi si discute se i medici devono usare le FFP2 (che sono le più adeguate) o le FFP3 o le chirurgiche, per esempio. O ancora si discute se è opportuno o no fare i tamponi negli ospedali.

Ma di che parliamo?" conclude amareggiato Anelli.

Commenti