Cronache

Epifani, l'anticomunista Cgil che guidò i Dem (e li mollò)

Superato il primo momento di dolore per la morte di Guglielmo Epifani e dopo aver frugato nella sua biografia e nei ricordi, viene da dire che è morto uno degli ultimi socialisti craxiani

Epifani, l'anticomunista Cgil che guidò i Dem (e li mollò)

Superato il primo momento di dolore per la morte di Guglielmo Epifani e dopo aver frugato nella sua biografia e nei ricordi, viene da dire che è morto uno degli ultimi socialisti craxiani: un uomo di sinistra di origini serenamente anticomuniste privo di isterie e anzi assolutamente ragionevole quanto deciso che, dopo una lunga traiettoria interessantissima e quasi dimenticata, sparisce dopo essere approdato in Parlamento nella sua ultima veste di leader della sinistra di Articolo uno. Nel frattempo, incredibile ma verissimo, Epifani è stato segretario del Partito Democratico dopo le dimissioni di Bersani nel maggio del 2013.

E fu allora che con caustico candore un altro ex segretario socialista della Cgil, Giuliano Cazzola, dichiarò: «L'elezione di Guglielmo Epifani quale segretario-traghettatore di un Pd sull'orlo di una crisi di nervi sembra una vendetta postuma di Bettino Craxi. Gli eredi dei suoi implacabili nemici, il pc e la sinistra dicì, sono stati costretti a rivolgersi ad un ex craxiano doc come Epifani. Il tempo è galantuomo». Ma poiché anche Epifani era un galantuomo, non ci mise molto a capire che il partito che aveva preso in braccio dalla sala rianimazione, non era nulla: né un soggetto politico con passato presente e futuro, né un'organizzazione solida e tenace. E così lo mollò uscendone da sinistra. Ma non perché fosse un estremista, tutt'altro. Si era semplicemente reso conto che il Partito Democratico era un prodotto incapace di trovare una sua anima di sinistra né di centro né progressista: non conservatore (almeno Palmiro Togliatti fu un grande conservatore come molti della sua antica stirpe comunista) ma soltanto un imbevibile cocktail: 2/3 di vecchio Pci e 1/3 di vecchia Dc. Un cocktail incapace di far girare la testa ma grandioso nel produrre le emicranie del dopo-sbronza. Fu così che Guglielmo Epifani uomo per sua natura elegante nei tratti, nella parola, nelle idee non vide altra strada se non quella di seguire la sua intelligenza intransigente, quella di chi in politica cerca il meglio e non il fracasso pubblicitario. Con Renzi, votò il Jobs Act che abbatteva il famoso articolo 18 che rendeva indissolubile il matrimonio fra dipendente e datore di lavoro. E tuttavia non sopportava Renzi che sentiva estraneo alla sinistra socialista.

È un brutto mestiere quello del cronista costretto a scrivere - come è d'altra parte indispensabile - il genere di articolo come questo che in gergo si chiamano «coccodrilli». Cioè il necrologio. Il «coccodrillo» è per definizione un articolo ipocrita perché è scritto in largo anticipo e ingiallisce nei cassetti per versare le sue lacrime quando il personaggio sul viale del tramonto, cessa di vivere. Ma di Epifani non era pronto alcun coccodrillo perché era ancora giovane e non so di quale male sia morto, evidentemente incurabile, ed è un peccato che non si usi più descrivere la fine delle persone di valore: ieri c'era e oggi non c'è più, amen. E questo fa particolare impressione a chi ha conosciuto Epifani quanto basta per conservarne una ottima opinione è nel mio caso ancora più triste perché era più giovane. E poiché spesso la morte definisce la vita che si è conclusa, è davvero straordinario vedere con quanta intensità emerga la qualità e il significato storico della sua vita: Epifani è stato un socialista autentico, come socialista del tutto refrattario e mai subordinato ai comunisti con cui discuteva e che non amava, un riformista amico dei lavoratori esattamente come Ottaviano Del Turco che vive un finale di vita rattristato dalla barbarie che gli è stata inflitta.

Ed ecco che proprio oggi, in questo anno 2021 che vede il Pd in stato di confusionale sfacelo mentre insegue con l'acchiappafarfalle di Enrico Letta fantasmi grotteschi e distanti dai problemi e dalle soluzioni che chiede il Paese, un uomo di sinistra come Epifani esce di scena certo non per sua scelta ma per dispetto del destino, ma uscendo di scena impone a tutti una revisione dello stato della sinistra italiana: che cosa è, che cosa vuole, con chi e seguendo quali tratti di strada.

Quando oggi si discute della destra di questo Paese, delle possibili strategie di alleanza fra le sue componenti, in genere si pone l'attenzione sulle differenze fra partiti di origine liberale come quello creato politicamente da Berlusconi, con un partito come la Lega che è cresciuto anche per il suo radicalismo muscolare e Fratelli d'Italia che viene da quell'area di destra sociale che è un fenomeno solo italiano molto più contiguo alla sinistra radicale che alla destra conservatrice.

Oggi stiamo assistendo, probabilmente grazie al forte segnale di stabilità offerto da Draghi e dalla sua personale ascendenza nell'Ue, ad un veloce riassestamento di queste componenti con ritmi e procedure diverse: ma certo è che a destra si registra movimento e iniziativa fra ciò che è ancora vivo del mondo liberale. La sinistra che Guglielmo Epifani ha attraversato con angelico candore e con coerenza ora che è morto possiamo dirlo è fatta di niente. Parole d'ordine senza contenuto, ricorso alle insofferenze e alla voluttà di evocare questioni razziali specialmente dove non esistono, come nel caso dello sventurato adolescente suicida di origine etiope.

Se la sinistra italiana non ha più nulla, ma proprio nulla di ciò che apparteneva a persone come Guglielmo Epifani e agli altri riformisti della vera sinistra, dunque nessuna sorpresa se oggi il terreno su cui si sviluppano le idee sia nella cosiddetta destra, definizione secondo noi arcaica ed archeologica, ma tanto per capirsi.

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