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Esecutivo di "difesa" da Salvini

Esecutivo di "difesa" da Salvini

Seduti su un divano di Montecitorio due deputati del Pd non sprizzano certo di gioia per il governo che verrà, ma lo considerano un passo obbligato, figlio di uno stato di necessità. «I big osserva con una punta di sarcasmo Umberto Del Basso De Caro sembra quasi che si vergognino ad entrarci. Con la scelta paradossale di non fare i vicepremier, il Conte bis sta assumendo le sembianze di un governo tecnico o para-tecnico». «Il problema sentenzia Enrico Borghi - è che mentre figli della dc come Renzi, Franceschini, Delrio, Letta hanno capito subito che andava fatto. Come pure figli del Pci come D'Alema e Bersani. Un figlio dei Ds come Zingaretti ci ha messo venti giorni a capire che è un governo indispensabile, di legittima difesa». Questa espressione, all'apparenza stravagante, gira di bocca in bocca in Parlamento. La usano nel Pd, ma echeggia nei discorsi di forzisti come Renata Polverini o Gregorio Fontana, e rimbalza nei ragionamenti di grillini come Luca Carabetta. Se Matteo Salvini definisce il nascituro un esecutivo «contro la Lega», gli altri, che tre settimane fa se la sono vista brutta con le elezioni alle porte, lo vivono, appunto, come un «governo di legittima difesa»: una denominazione che contiene in sé la sottile malizia di utilizzare dal punto di vista politico il concetto di «legittima difesa», contro l'autore di una legge che portava lo stesso nome e che ha fatto attorcigliare per mesi lo stomaco a piddini e 5stelle .

Un governo del genere, che risponde ad uno stato d'animo più che ad un programma, per sua natura ha un'anima tecnica, enfatizzata in questo caso anche dalla brevità dei tempi che i protagonisti hanno avuto a disposizione per metterlo in piedi. Una condizione che ha consigliato più di accantonare i problemi, che non di superarli. Tant'è che il premier incaricato ci tiene a precisare passando da una maggioranza gialloverde ad una giallorossa di «non essere uomo per tutte le stagioni» (rasentando il ridicolo), di «non essere grillino» (sfiorando il comico) e, dato da non trascurare, di preferire come sottosegretario a Palazzo Chigi un altro tecnico come Roberto Chieppa e non un politico come Dario Franceschini, anche se alla fine prevarrà quest'ultimo. Eppoi con un tecnico al Viminale come il prefetto Luciana Lamorgese; oppure con un ministro dell'Economia da scegliere tra l'ex-Bankitalia, Salvatore Rossi, o il vicepresidente della Bei, Dario Scannapieco; o, ancora, con un esponente politico decisivo negli equilibri del Pd come Andrea Orlando che si tira fuori, la conseguenza è implicita: l'immagine tecnica rischia di offuscare quella politica. Tanto più che nel valzer dei veti si rischia il paradosso, masochista, di scartare Giggino Di Maio come vicepremier e di ritrovarselo alla Farnesina.

Tutto questo dimostra che in questo frangente conta più il fine che non lo strumento per raggiungerlo. E per il fine - cioè di impedire a Salvini di arrivare alle urne secondo i suoi piani e la sua tempistica, facendo degli altri tabula rasa si è pronti a perdonare tutto: in Italia, nella base dei due partiti (il 79% della piattaforma Rousseau si è espressa per il Sì), come in Europa. In fondo se uno ti aggredisce a Ferragosto, non è che per difenderti hai il tempo di scegliere tra un'arma sofisticata, un cacciavite spuntato o un sasso. L'importante è respingere l'assalto. Poi si vede.

Ecco perché nell'inedita maggioranza giallorossa non sono pochi quelli che storcono il naso sul tipo di governo che sta venendo fuori da queste esasperanti trattative, ma questo non scalfisce la convinzione che sia un passaggio necessario, addirittura obbligato. «Nasce un governo tecnico confida in privato Matteo Renzi e neppure dei migliori. Anzi. C'erano in ballo personaggi come Cantone e Gabrielli e invece E avremo pure un ministro degli Esteri che sa l'inglese come l'italiano, cioè male. Detto ciò: la legislatura arriverà fino al 2023, questo governo non lo so». Spunti simili sono contenuti anche nei ragionamenti in cui si lancia il piddino più convinto dell'accordo con i grillini, Graziano Delrio. «C'è il rischio ammette che il Conte bis nella sua composizione appaia come un governo tecnico. Ma l'importante è farlo partire: se si va alle urne adesso Salvini diventerebbe un genio. Poi più avanti avremo il tempo di registrare il tutto, magari di cambiare. Anche perché la cosa più importante non è il governo ma aprire una nuova stagione politica».

E qui arriviamo al punto. Spiega Delrio: «L'importante, ad esempio, è introdurre una legge proporzionale, altrimenti la prossima volta Salvini stravince. Il bipolarismo in questo momento - in Italia come in Europa o nel mondo favorisce le estreme, i sovranismi, i populismi, chi fa politica con i proclami arrabbiati senza risolvere i problemi. Dobbiamo tornare ad una politica più mite, a quell'alleanza che ha governato questo paese per decenni tra un centro e una sinistra». E già, questa è la vera posta in gioco. E non è poco. Se si mettessero in un computer disegni e strategie dei vari protagonisti di questa fase, si scoprirebbe che c'è un'accelerazione di processi che modificheranno in futuro lo scenario politico. È chiaro che l'attuale equilibrio farà venire meno i motivi della scissione tra il Pd e Liberi Uguali. Ed ancora, che il ritorno di D'Alema e Bersani produrrà una scissione sul versante centrista del Pd: nasceranno gruppi parlamentari renziani che si allargheranno ad altri soggetti moderati. Come pure la rottura traumatica con la Lega, collocherà stabilmente i grillini sul versante di sinistra. Ovviamente, per «disarticolare» e «riaggregare» quelli che sono gli attuali soggetti politici, ci sarà bisogno di una nuova legge elettorale proporzionale che è già in fieri. Di contro Salvini punterà a bloccare quest'operazione di cui è la vittima predestinata, perché punta alla sua emarginazione e del sovranismo - dal gioco politico: il tentativo di attrarre nella sua orbita parlamentari grillini e azzurri punta non solo a far crollare l'attuale equilibrio di governo, ma soprattutto ad evitare quel ritorno al proporzionale che per lui sarebbe letale. Non si tratta di congetture, ma dei ragionamenti che stanno facendo gli attori della disputa, o meglio, della battaglia che si svolgerà nei prossimi mesi. In cui ci saranno rotture, nuove alleanze e ritorni di fiamma.

Già, può succedere di tutto, perché è in ballo la sopravvivenza di molti.

Quando la scorsa settimana Silvio Berlusconi ha scritto nero su bianco la dichiarazione alla stampa dopo l'incontro con il premier incaricato, qualcuno dei suoi collaboratori gli aveva consigliato prudenza per non far adirare Salvini, ricevendo una risposta inaspettata: «Quello che voglio è proprio che si arrabbi». Anche in politica come nella vita le stagioni cambiano. «E quella che si apre è la chiosa di Gianni Letta potrebbe ridare smalto a quell'area moderata tanto bistrattata».

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