Dopo mesi di tira e molla, ieri l'Unione europea ha deciso di aprire una procedura d'infrazione contro l'Italia sulla normativa del Golden Power. E nel farlo ha compiuto un'impresa rara: contestare un principio senza conoscere il contesto, mettere in discussione una prerogativa statale senza possederne il titolo, regalare alle opposizioni italiane l'illusione di una vittoria politica che esiste solo nella loro fantasia. Perché Bruxelles, va detto subito, non accusa il governo Meloni di avere abusato dei poteri speciali in relazione a una particolare operazione. Non giudica l'intervento del Tesoro sull'Ops lanciata da Unicredit sul Banco Bpm come declamano i grilli parlanti. Nemmeno sfiora il merito delle decisioni adottate. Anzi, ripete con ostinazione quasi imbarazzata, che la procedura non riguarda alcun caso specifico. E tuttavia, nelle retrovie dell'opposizione domestica, questa semplice verità è diventata materia per un nuovo capitolo delle loro avventure immaginarie: la saga del governo fuorilegge richiamato all'ordine dalle autorità europee. Un racconto comodo, che può fare presa sui non addetti ai lavori. Peccato sia falso. La realtà è infatti ben diversa: Bruxelles contesta un impianto normativo astratto, in vigore da oltre dieci anni, avallato e riformato dal governo Draghi nel solco di ciò che è previsto in tutti gli Stati membri. Ma per i pasdaran a tempo pieno, questo non basta. Loro hanno bisogno di una trama, di un cattivo da crocifiggere. Così inventano ciò che l'Europa non dice. Non è politica, è letteratura fantasy, nemmeno di alto rango. Nondimeno, sul merito la Commissione commette un errore grave. Il Golden Power non è uno strumento ornamentale. È l'ultima difesa degli Stati davanti ad acquisizioni che possono compromettere la sicurezza nazionale. Nel settore bancario significa una cosa sola: tutela del risparmio. Non una pretesa sovranista, ma un obbligo costituzionale. Ed è su questo punto che Bruxelles inciampa: pretende di estendere la vigilanza tecnica della Banca centrale europea fino a trasformarla, nella pratica, in un potere di autorizzazione politica. Confusione totale. La Bce controlla la solidità degli istituti; lo Stato custodisce la fiducia dei risparmiatori. Le due funzioni si completano, non si sostituiscono. Pretendere che uno Stato rinunci a valutare chi tenta di acquistare un istituto sistemico significa non capire come funziona, in concreto, la stabilità finanziaria di un Paese. L'Unione continua a essere politicamente incompiuta: manca un bilancio federale, manca un'unione fiscale, manca un mercato dei capitali integrato. In questo scenario, chiedere agli Stati di disarmarsi sul piano della protezione degli asset strategici è semplicemente irreale. E, per certi versi, irresponsabile. Sul versante interno, poi, lo spettacolo delle opposizioni è sconfortante. Anziché leggere ciò che Bruxelles scrive, preferiscono leggere ciò che avrebbero voluto scrivere loro. Vogliono vedere un governo in difficoltà e, non riuscendoci, se lo inventano. È una forma di compensazione politica: non potendo proporre un'agenda seria, si dedicano alla costruzione di narrazioni che durano lo spazio di un titolo. E mentre loro inscenano la solita festa fuori luogo, il governo mantiene la linea istituzionale: Giorgetti ha già indicato che una risposta tecnica è pronta. Chiarezza dove serve, nessun arretramento sulla sostanza. L'Italia, al contrario di quanto vorrebbero far credere gli oppositori del governo, non è sotto processo: sotto osservazione è una norma, non un comportamento. E l'opposizione che festeggia è l'immagine perfetta della sua marginalità: incapace di distinguere tra un rilievo tecnico e una sentenza politica. La questione è semplice: come ribadiamo da mesi, la sovranità nella tutela del risparmio non è negoziabile. E non lo sarà finché l'Europa non sarà compiuta nelle sue strutture.
Fino ad allora, Bruxelles può chiedere chiarimenti; ma non può pretendere deleghe che nessuno ha mai conferito. Difendere l'interesse nazionale non è un capriccio. È un dovere. Il resto soprattutto le avventure immaginarie dei polemisti domestici appartiene al folklore, non alla politica.Osvaldo De Paolini