Cronache

Ma farsi giustizia da soli apre le porte al Far West

Ma farsi giustizia da soli apre le porte al Far West

Se mio figlio tornasse a casa desolato perché un compagno di scuola gli ha rubato l'astuccio con i pennarelli e la maestra non è stata in grado di difendere il suo diritto di proprietà, cosa suggerisco al bambino? Aspettare dietro la porta della mensa il ladruncolo e pestarlo a sangue? Il problema è tutto qui: in questo esempio elementare di modeste proporzioni va preso in esame anche la vicenda di Fabio Di Lello, il signore di Vasto, che ammazza chi ha ammazzato sua moglie. Dunque, dovrei suggerire a mio figlio di farsi giustizia da sé? Neanche per sogno. Da un punto di vista formativo quest'idea è deleteria, non soltanto perché può avviare il bambino sulla strada della delinquenza, quanto perché viene insinuata nella sua mente la convinzione che non esistano regole con cui si governa una comunità. Il rancore del signore di Vasto è più che comprensibile, ma non è ammissibile per una comunità, che si governa attraverso leggi, alleviare la propria pena vendicandosi, per di più commettendo lo stesso reato da cui si è generato il bisogno di vendetta. È indiscutibile che noi stiamo vivendo in una società in cui si percepisce costantemente l'ingiustizia della giustizia, l'assenza di certezza della pena, la lentezza delle procedure, le scappatoie burocratiche, tutti aspetti che allontanano il cittadino dal rispetto della legge. In più si può aggiungere tutta una letteratura, grandi film che suggestionano l'immaginario delle persone. Come non amare il mitico John Wayne che quando tira fuori dalla fondina la sua colt accoppa qualcuno solo a fin di bene? L'ombroso Charles Bronson giustiziere della notte, e il nostro Alberto Sordi, che nel film Un borghese piccolo piccolo, tratto dall'omonimo romanzo di Vincenzo Cerami, interpreta il ruolo di un modesto impiegato così colpito negli affetti da volersi fare vendetta da sé, perché la legge ha umiliato il suo dolore. Sono molte e anche affascinanti le suggestioni per oltrepassare quel principio elementare della nostra civiltà democratica che non consente al singolo il diritto di farsi giustizia da sé, neppure se il torto patito è clamoroso. Si può comprendere il dolore di chi arriva a commettere un crimine per vendicarsi, perché la legge lo avrebbe tradito, ma ammettere che ciò sia lecito in una società di diritto significa aprire le porte all'anarchia. Una barbarica reazione a catena di reati come nelle società mafiose, in cui si crea un codice privato estraneo o in competizione alla legge dello Stato. Ma il fatto stesso che si possa discutere e anche giustificare un gesto come quello compiuto da Fabio Di Lello, significa che stiamo rischiando una pericolosa deriva anarchica. D'accordo sulla giustizia che non funziona, sulla sfiducia nella legge, ma c'è, come sempre, un problema originario più importante: come educare. E a questa domanda non si può rispondere accettando le motivazioni psicologiche che hanno spinto al crimine Di Lello.

Piuttosto con umiltà e sincerità si spieghino le criticità delle leggi che ci governano, con l'impegno civile di migliorarle.

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